giovedì 8 novembre 2018

il collezionista


Una mattina di inizio autunno, anni fa, feci davvero un insolito incontro. Mi imbattei in una persona decisamente singolare, alla quale ancora oggi mi capita di a volte di ripensare.
Ero da poco tornata nella mia città natale dopo un lungo periodo di vita all’estero. 
Dovendo adempiere alle formalità e ai riti amministrativi utili per tornare ad essere, a tutti gli effetti di legge,cittadina napoletana, ogni giorno ero costretta ad ignorare gli scatoloni del recente trasloco che ancora la facevano da padrona in casa e regalare parte del mio tempo alla burocrazia, rimanendo in ostaggio  di interminabili file presso gli uffici comunali per ore.
Uscii di casa all'alba nella speranza di battere sul tempo la concorrenza degli altri sventurati con cui avrei condiviso l'esperienza nel girone dantesco. L'atto temerario non valse a nulla:a metà mattinata ero ancora ben lontana dal vedere la luce. Anzi, nel gioco dei rimpalli tra competenze e incompetenze delle varie amministrazioni mi ritrovai, stanca e furibonda, dirottata all'ufficio delle imposte, ultima in coda. Su una di quelle diaboliche sedie in plastica che tra la seduta e la spalliera hanno un profondo e tondeggiante vuoto, tale da non offrire pace e ristoro ne’al sedere ne’ alla schiena,di fronte a me si accomodò un anziano.
I suoi capelli bianchi si diradavano a creare un ampia stempiatura sulla fronte alta, segnata dalle rughe tipiche di chi valuta il mondo attraverso lo sguardo perplesso che costringe le sopracciglia ad un perenne arco verso l’alto. Il volto perfettamente sbarbato, ordinato e composto nel vestire, aveva decisamente l’aria di una brava persona. 
Il mio istinto, ma principalmente il suo giornale diligentemente ripiegato in grembo, mi suggerivano che fosse pronto ad attaccar bottone; tuttavia non sentendomi incline alla socievolezza per via della frustrazione di quella ennesima attesa, mantenni fino a quando mi fu possibile il mio ostinato e scostante silenzio. 
Cedetti infine alla perseveranza del suo sorriso cordiale. 
Cominciammo uno di quei dialoghi da sala d’aspetto fatti di dichiarazioni di comprensione e reciproche esortazioni alla sopportazione. Gli sguardi complici di riprovazione e di ironia all'indirizzo di certe intemperanze altrui, aprirono, infine, la strada delle confidenze personali. 
Gli raccontai brevemente la mia vita e le impressioni che avevo avuto ritornando, dopo anni, a casa.
Nella sua carriera da dirigente in una famosa multinazionale aveva anche lui viaggiato molto e vissuto all'estero con la famiglia. Piccole coincidenze tra i nostri percorsi di vita delle quali sorridemmo entrambi.
Fino a quel punto della conversazione, dunque, non avevo motivo di dubitare che il mio interlocutore fosse nulla di più che un simpatico ma - tutto sommato- ordinario pensionato. 
Nessuna traccia della benché minima stranezza.
Le nostre chiacchiere si spostarono inevitabilmente su aneddoti di vita più recente e fu a quel punto che appresi la particolarità a cui facevo cenno. 
Quest'uomo -del quale non saprò mai il nome per non aver avuto allora l'ardire di chiederlo- coltivava una passione: collezionare visite ad appartamenti in locazione.
Per via degli innumerevoli trasferimenti connessi al suo lavoro,  si era trovato ripetutamente nella necessità di prendere in affitto case, tanto da diventare, di destinazione in destinazione, di trasloco in trasloco, una vera e propria autorità in materia. 
Quando infine, alle soglie della pensione affrontò per l’ultima e definitiva volta la ricerca di una casa, quella in cui lui e la moglie avrebbero trascorso il resto dei giorni, fu colto -così disse- da autentica mestizia. 
Avendo io pure una certa qual dimestichezza con l’argomento in parola, la confessione del mio interlocutore non mi lasciò indifferente.
Immediatamente ritornai con la memoria al dispiacere e all'apprensione -non esagererei a definirla angoscia- che avevano accompagnato lo sgombro della mia prima casa. Poi ripensai a tutti quelli successivi, ammettendo che effettivamente le cose fossero andate semplificandosi negli anni. Le operazioni preliminari da compiere, le sgobbate per disfare gli scatoloni, persino le reazioni psicologiche, ad un certo punto, si erano trasformate infatti in antiche consuetudini famigliari, finendo per l’essere assolte con la risoluta praticità a queste riservate. Tuttavia, nonostante il conforto di tali considerazioni, non arrivavo proprio a convincermi che ci si potesse dispiacere per la fine di ciò che continuava a parermi un indicibile strazio.
Cogliendo evidentemente il dubbio sulla mia faccia, sorrise condiscendente e si affrettò a precisare le ragioni della sua tristezza.
Non avrebbe rimpianto certo quella forsennata transumanza di mobili e masserizie. Piuttosto si rammaricava di non poter più andare in giro ad esaminare appartamenti; un’attività - il termine lasciava intuire un' autentica passione - che onestamente amava. 
L’abitudine acquisita fin da bambino a perdersi in fantasticherie , spiegò, non si era affievolita negli anni, ne’ si era esaurita la costante curiosità verso i suoi simili. 
L’ innocua pratica di visitare alloggi sfitti gli permetteva di soddisfare entrambe le inclinazioni. Come un pittore sfoga la sua carica creativa sulla tela bianca, lui utilizzava la sua fertile immaginazione per popolare e arredare a piacimento gli ambienti vuoti al di là di ogni soglia. 
Ammetto che il racconto a quel punto mi aveva tanto conquistata che, dopo aver controllato con apprensione lo stato della fila, tirai un sospiro di sollievo nel contare ancora ben 20 persone davanti. Mi rimaneva tempo sufficiente a godermi il resto della storia.
La prima volta che visitò una casa -proseguì- le ansie personali, che già da giorni gli toglievano il sonno, impedirono alla mente di andare oltre le immagini registrate con eccessiva fedeltà dagli occhi.
L’unto incrostato sulle piastrelle della cucina, gli strati di calcare induriti intorno ai sanitari, le pareti segnate dalle sagome tristi dei mobili gli comunicarono una tale desolazione che, vinto dallo sconforto, non provò neppure a terminare il giro dell’appartamento. 
E’ che ognuno ha in testa la propria casa - spiegava- con il mobilio disposto in quel certo ordine, il tale quadro proprio su quella determinata parete, il portasciugamano in quel punto preciso dove anche a occhi chiusi sei certo, girandoti, di trovare la salvietta; e non credi che altrove potrai mai trovare lo stesso magico equilibrio.
Poi la necessità incalza e, come si dice, aguzza l’ingegno. Così capitò che all'ennesima visita, quando ormai i tempi per il trasloco stringevano, si decidesse a fare qualche tentativo con l’immaginazione: si figurò la cucina ripulita e tinteggiata di fresco con i suoi mobili ben allineati al muro, le sue tende alle finestre del bagno, il suo divano a dominare la parete lunga della sala.
Più cresceva il numero degli alloggi ispezionati, più la fantasia si faceva ardita al punto che, capovolgendo lo stato d’animo degli inizi, la realtà che gli si manifestava davanti alla vista scompariva immediatamente davanti a quell'altra, prontamente suggeritagli dal fervore del suo intelletto. Mettendo piede nell'appartamento di turno, infatti, egli subito, con il pensiero, disponeva sulla prima parete utile, il solito mobiletto da ingresso su cui immaginava già pure sistemate le foto dei figli accanto allo svuota tasche traboccante.
L'insospettato talento creativo era stato -ne convenivo anch'io- una vera e propria benedizione; un’ancora a cui si era aggrappato per dissipare il clima tragico -anzi funereo- dei trasferimenti e traslochi. 
Dopo il divertimento di arredare abitazioni estranee con tali simulazioni scoprì poi di essere affascinato dalla possibilità di fantasticare sulle vite dei precedenti inquilini. Così passò a inventarsi pure quelle. Raccoglieva ovunque indizi per costruire le sue storie: l’impronta dei piedi di un comò in camera da letto, il colore con cui erano tinteggiate le stanze, i fori alle pareti che avevano supportato scaffali, tutti elementi utilissimi alla sua fertile mente per ricomporre frammenti di esistenze, quadretti famigliari e abitudini di casa. Gli bastava gettare un occhio ai pavimenti, ad esempio, o ai rivestimenti di bagno e cucina, agli infissi, per dare un età a quegli sconosciuti, attribuire loro dei figli piccoli o adolescenti, rappresentarsi la padrona di casa come donna trascurata o efficientissima. Insomma, dietro ogni porta si nascondevano infinite possibilità e innumerevoli mondi.
In men che non si dica si era ritrovato con un assortimento di appartamenti e di racconti considerevole, degno della più ambiziosa delle collezioni.
Il mondo è pieni di gente che si appassiona agli oggetti più strani e comincia ad accumularli, lasciando che ne sia invaso l'intero spazio disponibile. 
Lui che non poteva custodire il suo tesoro -per ovvie ragioni- , in nessun altro posto se non nella memoria, aveva sistemato e catalogato nella testa, appunto, ogni singolo pezzo in base alla bellezza, alla grandezza, alla singolarità. Se li ricordava tutti.
Il cottage sperduto nella campagna inglese conservato rigorosamente nello stato originario, con i pavimenti di legno che scricchiolavano ad ogni passo e la cucina a carbone con annesso un cubicolo che, dall'ovale sulla parete aperto verso l'esterno, si deduceva fosse il frigorifero. La casa in Turchia nel cui soggiorno troneggiava un camino con tanto di colonne e capitelli in marmo, ribattezzata la “casa di Saddam”, tanto ricordava la regia del dittatore nelle immagini della tv. 
Un appartamento nel cuore di Chiaia, quartiere bene di Napoli, corredato da una delle più bizzarre cucine di sempre. In cubicolino definito dall'agente immobiliare, con un eccessivo slancio di fantasia, cucina, collocato su un tavolinetto claudicante, c'era un fornelletto da campeggio a due fuochi difronte al quale si apriva la porta di un bagnettino. Senza il minimo sforzo, tenendo l'uscio aperto e stando addirittura seduto sul gabinetto avrebbe potuto comodamente spignattare.
 A quel punto del racconto la mestizia, cui l’anziano signore aveva fatto inizialmente cenno, aveva un senso. A dirla tutta anche io, ormai calata nei suoi panni, mi ero rattristata. Una passione è una passione, per quanto inconsueta. Doverci rinunciare è un indiscutibile dolore. E proprio mentre cercavo parole adatte a esprimergli la mia solidarietà, ecco il colpo di scena finale.
Non disposto affatto al sacrificio, con la complicità della moglie, quest’uomo aveva trovato un modo semplice per coltivare il suo hobby. 
Ogni qualvolta che gli prendeva la fregola, una o due volte l’anno, vestito di tutto punto, insieme alla consorte, si presentava in un agenzia immobiliare. Un solerte ed elegantissimo giovanotto ben felice di guidarli in giro si trovava sempre. Esaurite infine le agenzie, fu sufficiente ripiegare sugli annunci senza intermediazione.
Che volete che vi dica? 
Grazie al simpatico sconosciuto la mia mattinata, a dispetto delle aspettative, trascorse piacevolissima tanto che mi rammarico di non averlo neppure ringraziato. Addirittura sono curiosa delle nuove perle di cui si sarà nel frattempo arricchita la collezione.
Un modo per scoprirlo ci sarebbe. Pubblicando una finta inserzione su uno di quei giornali che, immagino, a lui capiti sempre di sfogliare, sono certa che, presto o tardi, me lo ritroverei di fronte. Chissà che prima o poi, cedendo all'impulso eccentrico,non mi decida per davvero a lanciare la fava nella speranza di catturare il  piccione.

Non è un pranzo di gala

Novembre 2022 📝📂Appunti molto random - al limite del plausibile- su "Non è un pranzo di gala" di Alberto Prunetti  1️⃣💸📚 come ...