giovedì 22 settembre 2016

Due piccioni con una fava: “ Zia Titina e L’Isis” — “ Fuoco su Napoli”


Entrata in libreria per la solita perlustrazione in cerca di novità,   sono caduta nello specchietto per le allodole approntato dal libraio, che sullo scaffale aveva poggiata, fresca di stampa, l'ultima fatica di Peppe Lanzetta.
Io, Lanzetta lo scrittore lo adoro, più del suo alter ego attore. La Napoli come la racconta lui, vitale, sanguigna, dolente e giuliva, nel suo impasto di vita e di sangue, mi fa uscire pazza.
Non ci ho pensato due volte: "Zia Titina e L'ISIS" me lo sono portato a casa: 70 pagine, 9 €, Tullio Pironti editore, come dire a chilometro zero. Non potevo fare altrimenti.
Me lo sono bevuto in una manciata d'ore. Adesso sono triste e non di certo perchè già l'ho finito. Mi dispiace  perchè  non  mi sento di dirne bene. L'affetto e l'ammirazine per Lanzetta mi impongono sincerità, perciò non lo salvo a meno di considerarlo un divertissement , un gioco, una facezie, insomma, con cui anche l'autore si è spassato non più di una manciata d'ore. Il libricino è un piccolo"papocchio". Vi si narra la storia di un elettrauto che, dati i caratteri somatici mediorientaleggianti, recatosi al supermercato, viene scambiato per un terrorista e si trova a vivere un'avventura surreale  in questura. Un parente lontano, ma lontano anni luce,  del Castello di Kafka scritto in preda ad una sbornia epocale o a una altrettanto epica " grande  fumata". ( Lo so, lo so, un tantinello cattiva, ma l'ho pensato mentre leggevo e lo scrivo). In un flusso psichedelico di nomi, citazioni e allusioni prese a prestito dalle pagine di storia più contemporanee,  Lanzetta mescola tutto e tutti, in un pulp surreale dove vengono chiamati in causa persino Stevie Wonder e Barry White, senza tuttavia  convincermi. Nonostante il messaggio finale di redenzione e pace,  a mio modestissimo parere, Lanzetta poteva fare di meglio  che riproporre una storiella somigliante a quelle che  girano su FB.


Altro giro altra corsa.


 
Veniamo all'altro libro della settimana : Ruggero Cappuccio – Fuoco su Napoli – Feltrinelli 2010.
"Dio sia lodato per gli amici che ci regala". Questa è misera farina del mio sacco che mi consente di rendere grazie al Signore Iddio in primis, e agli amici -amicA in questo caso- che consigliano libri meritevoli. Assolto l'obbligo di gratitudine, procedo.
Fuoco su Napoli, vincitore nel 2011 del Premio Napoli, non è un libro.  E' un' esperienza affabulatoria, al limite del mistico.
Gli ingredienti del grande romanzo li ha tutti.
 E' epopea romantica di un uomo che si è fatto da solo, imbastita attraverso  la fascinazione del segreto di nascita astutamente celato agli occhi del mondo, la seduzione di un amore con la A maiuscola affidato ad un racconto di tale sofisticata ingenuità che l'accostamento ad un romanzo rosa trasudante di 
passionalità quasi ancestrale, lungi dal trascinarlo verso il basso lo innalza verso vette più auliche  .E' romanzo storico e sociale nella maniera in cui tratteggia, con padronanza e misura, politica, camorra, criminalità. E' luogo dell'anima nelle parti in cui ci riporta a Napoli, "la grande madre" e in cui diventa lo specchio in cui noi tutti, figli di questa madre, non voremmo mai specchiarci. La trama è solida, avvincentissima, costruita con una sapienza magistrale. Eppure su tutta questa ricchezza di elementi, in questa cornucopia di prosperità  un elemento sopra tutti mi ha incantata: il linguaggio. Superlativo. 
Non semplicemente scrittura, ma affabaluzione pura, canto mistico appunto.
Una lingua, quella di Cappuccio, corposa, sostanziosa, importante che sovrasta la storia senza tuttavia  minimamente soffocarla. Una lingua che soggioga il lettore come un'onda che rinfresca, ritempra ma non infradicia, che ha la sapienza di ritirarsi un istante prima di diventare molesta.
Cappuccio osa, e fa bene. Osa con metafore, aggettivazioni, accostamenti, richiami.
Si può essere sontuosi senza sfarzo?  A quanto pare si. Accade quando si riesce a nascondere la lunga ponderazione da cui sono generate le parole. Il trucco, degno del più fine degli illusionisti, farle sembrare, le parole, neppure frutto di un caso ma di una reminescenza avuta in dono dallo scrittore, il quale, come fosse un archeologo, le riporta  semplicemente alla luce.
Fuoco su Napoli è letteralmente una collana di perle mozzafiato, dove aggettivi, avverbi, espressioni idiomatiche e dialettali si confondono e si fondono, dove l'originalità e l'audacia di Cappuccio si arrestano al momento giusto: appena un soffio  prima  della sovrabbondanza, appena un soffo prima di diventare oscure: onda che rinfresca ma non si fa molesta.

 

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