mercoledì 4 maggio 2016

Dalle rovine di Luciano Funetta

Mi sono precipitata in libreria perché “Dalle rovine” di Luciano Funetta, edito da tunuè, nella dozzina di candidati allo Strega, doveva essere mio.
Ne parlano tutti. Da brava San Tommaso, in questi casi di brusii persistenti ed insistenti, io devo toccare con mano. Diffidente lo ero.
Quando leggi di  un “romanzo visionario”, “poco convenzionale”, “fuori dagli schemi”, “coraggioso”, la curiosità è tanta ma anche il sospetto che si esageri non scarseggia.
Taglio corto e dico subito che Funetta “ha ingarrato” un gran bel libro. Se  gli aggettivi di cui sopra significano, tradotti in soldoni, che il romanzo può aspirare ad un posto stabile nella “letteratura” alta e ha tutte le carte per non essere un fuoco di paglia, allora concordiamo con gli “aggettivatori seriali”.
La scrittura mai dilettantesca –siamo di fronte ad un esordiente ma non a un principiante- è perfetta. Non solo perchè non ci sono errori sintattici, grammaticali o di consecutio –di questi tempi mi capita sotto gli occhi di tutto-  ma nel senso che è giusta, calibrata, perfettamente calzante alla trama: lucida come si conviene ad un racconto onirico.
La storia non è ne’ scabrosa ne’ depravata.  E’ vero: il protagonista, Rivera, usa dei serpenti per masturbarsi e si avvicina all’ambiente dei film porno o –come si dirà meglio a pag.28- “cinema delle solitudini”, ma il nucleo centrale del racconto non è né il sesso ne’ la depravazione fine a se stessa.
Mi addentro in un territorio fantascientifico e avanzo l’ ipotesi che di fondo, sottotraccia, Funetta abbia  affrontato scientemente e coscientemente una riflessione sull’arte, in particolare sulla scrittura. Tutto ciò che i protagonisti dicono sul cinema è perfettamente calzante anche alla letteratura.  “Bisogna cambiare registro” disse tra sé Alexandre, dal nulla. “Tornare alle origini, a quando l’arte e la fame erano la stessa cosa. Dobbiamo essere uomini che dipingono scene di caccia in una grotta, affamati che cacciano e disegnano nello stesso momento e con i medesimi strumenti”. E’ questo che Funetta ha in mente: tornare alle origini. I suoi personaggi sono, nella istintività ragionata dei loro pensieri, null'altro che uomini della grotta che dipingono scene di vita.
Il dubbio resta circa la “fedeltà” del pubblico. Indagare se e fin dove il lettore è disposto a seguire l’artista nel suo percorso verso nuove forme e nuovi confini sembra essere il nodo, non solo per lo scrittore, ma anche per la casa Editrice Tunùe diretta da Vanni Santoni. A pag. 60 si legge:” Abbiamo messo un estratto dello Specchio on line (…) per mettere un po’ di curiosità ai nostri affezionati estimatori”.
“I tuoi estimatori. La tua congrega di fedeli” disse Alexandre. “ Cosa vuoi che capiscano? Stavolta hai trovato una materia che non puoi controllare. Non saranno in molti a seguirti”. “A me piace credere che invece lo faranno” disse Birmania.
Birmania ha avuto ragione. Gli estimatori, noi lettori ci siamo, numerosi ed entusiasti.

Vi è mai capitato, mentre visitate una città per la prima volta, di fermarvi davanti ad un particolare scorcio che vi rimanda ad un altro angolo del mondo incredibilmente somigliante?
A me spesso. Mi succede anche leggendo.  Nel mezzo di una pagina, di un’azione, di una descrizione, in un romanzo ce ne ritrovo altro.
Mi è successo anche mentre ero immersa in “Dalle Rovine”
Il bello di essere nello spazio piccolo ma confortevole di casa propria –parva sed apta mihi- è godere di certe libertà. Quella di tentare l’accostamento -che suonerà ai più sacrilego- tra Ernesto Sàbato –mostro sacro della letteratura sudamericana- e Funetta, esordiente nostrano, è tra queste.
Nel libro del pugliese, naturalizzato romano, fa capolino l’Argentina: lì mi è partito “l’embolo” di mettere in relazione “Dalle rovine” con “ El escritor y sus fantasmas” di quel gigante che è Sàbato o meglio ancora con “Il rapporto sui ciechi” inserito in “ Sopra eroi e tombe” – nella mia top 100 dei libri della vita-.  Mi ha solleticato l’idea che Funetta si sia tenuto in scia della grande tradizione onirica della letteratura sudamericana. Non saprei riassumerla meglio- questa intuizione- se non affidandola a citazioni testuali dagli scritti di Sabato.

I grandi problemi della condizione umana non sono adatti alla coerenza, ma sono accessibili unicamente a quella espressione mitoproteinica, contradditoria e paradossale, affine alla nostra esistenza”. Per Sabato la letteratura pura è finita. "E’ arrivato il momento di abbandonare le questioni estetiche per affrontare i problemi dell’uomo e del suo destino."
Nella prefazione a “Sopra eroi e tombe” Ernesto Franco, a proposito dei protagonisti del romanzo scrive: - “Ogni personaggio racconta o ascolta la sua parte di storia e la storia di tutti passa di mani in mano come un gesto infinito dove ogni persona cerca la propria verità in quella dell’altro. In questi personaggi della solitudine c’è come una comunione terrena”. Analisi perfettamente calzante anche ai tipi partoriti dalla penna di Funetta.
Sempre in maniera ardita azzardo che Funetta, nella contrapposizione tra   romanzo realista e psicologico o quello fantastico, scelga appunto  la terza via alla Sàbato: “irrompere nel fantastico, non come artificio ludico o preziosità letteraria” –cito sempre dalla prefazione di Franco- “ma come metafora ossessiva della condizione umana”.
Sàbato dice che la sua vera patria sta “ in quella regione intermedia e terrena, quella regione duale e lacerata da dove sorgono i fantasmi della finzione romanzesca. Gli uomini scrivono finzioni perché sono fatti di carne, sono imperfetti. Un Dio non scrive romanzi” .
A me pare che  anche Funetta e il suo “Dalle rovine”  appartengano al medesimo luogo.

Non è un pranzo di gala

Novembre 2022 📝📂Appunti molto random - al limite del plausibile- su "Non è un pranzo di gala" di Alberto Prunetti  1️⃣💸📚 come ...