venerdì 13 maggio 2016

Quando il rosso non è simbolo di passione

Su certi argomenti confesso una certa ostinata chiusura mentale.
 In fatto di simboli ammetto di essere “bacchettona”. Sono cosa seria e mi dispiace quando vengono sottratti alle loro destinazioni originarie per una pura faccenda di “moda” o peggio. 
 Mettiamo i tatuaggi, ad esempio. Un tempo strumenti espressivi di determinati gruppi etnici, passati poi ad alcune categorie sociali — i pirati, marinai e carcerati- ora sono ridotti spesso allo status di banali scarabocchi su corpi usati come comuni fogli su cui appuntare la qualunque.
 Stesso destino per la barba. Ha avuto nei secoli un grande valore rappresentativo, ancora oggi immutato in determinate culture. Alle nostre latitudini è ormai irreparabilmente svilita ad “accessorio” di tendenza.
 Lunga premessa per arrivare al punto.
 Una nota ditta di yogurt ha scelto, per pubblicizzare il suo prodotto, di far comodamente sedere la protagonista dell’ultimo spot su una poltrona bianca circondandola con molte paia di scarpe rosse ,“ passione” delle donne -pare- per antonomasia.
 Come direbbe qualcuno:” Houston, abbiamo un problema!”
 Le scarpe rosse sono state già opzionate come simbolo di altra causa.

Elina Chauvet
Era il 2009 quando l’artista messicana Elina Chauvet, con un progetto denominato “Zapatos Rojos”, volle rappresentare, proprio con paia di scarpe di quel colore, la mattanza delle donne, per mano di uomini ad esse legate da vincoli sentimentali, che si perpetrava impunita dal 1993 a Ciudad Juárez, città del nord del Messico.
A quel tipo di carneficina si è dato il nome di “femminicidio” e le scarpe rosse ne sono diventate un emblema internazionalmente riconosciuto.
 Trovare dei simboli cui affidare messaggi di un certo valore sociale è difficilissimo.
Mi lascia perciò l’amaro in bocca la scelta fatta nello spot.
Perché sovrapporsi, con un riferimento tanto esplicito, a una nobile causa per un grezzo fine commerciale? 
 Civettuole paia di scarpe rosse, in un contesto quasi paradisiaco, snaturano, sviliscono e svuotano di ogni valore un simbolo univocamente accettato, che voleva e vuole essere raffigurazione di vite spezzate e non iconografia di oggetti bramati per capriccio.
Mi chiedo se non ci fossero altre passioni a cui rimandare? 
Capisco la necessità di utilizzare entrambi i colori, bianco e rosso, per un richiamo diretto al prodotto yogurt e al sentimento passione. Ma bastava un minimo sforzo di fantasia -che non dubitiamo essere nelle corde di creativi blasonati- per uscire dall’impasse in modo più elegante. Sostituire le calzature con le borse, altro oggetto di desiderio al femminile, magari.
 Ci ho pensato a lungo–confesso quest’ultimo retropensiero- prima di scrivere queste righe, consapevole che in pubblicità vale la massima “bene o male, purché se ne parli”, e non volendo essere un veicolo involontario della réclame.

 Ci solo casi in cui vale la pena di correre il rischio. Quando, come nel nostro, il pericolo è banalizzare il male, semplificarlo, volgarizzarlo, quando cioè, sulla bilancia ci sono valori così evidentemente sproporzionati –mi sono detta- allora tacere è l’unico azzardo.

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