domenica 28 agosto 2016

Purity di Jonathan Franzen


“Il desiderio di registrare le storie in maniera indelebile, di annotarle con parole permanenti, mi sembra imparentato con la nostra convinzione di non essere fatti di sola biologia.”
Mi sono innamorata di Jonathan Franzen leggendo le trenta pagine de “ Il cervello di mio padre” nella traduzione di Silvia Pareschi edito nel 2013 da Einaudi, da cui è tratta la citazione.
L’ammirazione si è moltiplicata grazie a “Le correzioni”, con le quali  Franzen è saltato in cima alla lista dei mie autori preferiti del semestre -volubilità del lettore seriale al quale ben si adatta, per quanto riguarda naturalmente gli scrittori e i libri,  ciò che si legge in Madame Bovary a proposito della donna:” La sua volontà, come il velo del suo cappello tenuto da un cordoncino, palpita a tutti i venti, c'è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene”.
Data la premessa era logico che considerassi un obbligo leggere “Putity”, l'ultimo di Franzen, pubblicato sempre da Einaudi, tradotto sempre da Silvia Pareschi.
Con la massima umiltà e un pizzico di dolore ma per amore di sincerità, mi tocca confessare che ho trovato “Purity”, per molti versi, deludente.

Che le 648 pagine siano un congegno ben architettato, un orologio svizzero, è il dato sottolineato da molti.
La storia –che per inveterata abitudine della sottoscritta non verrà qui riassunta- è ricca di intrecci.
I temi dell’iperconnesione e della privacy in rete che fanno da sottofondo alla narrazione, analisi critica della società contemporanea non nuova in Franzen, attualissimi.
Il viaggio storico nelle Germanie pre-unificazione  un buon punto di partenza per una riflessione sul tema da approfondire  magari attraverso la lettura de “La città degli angeli”, splendido libro di Christa Wolf .
Elettrizzante l’idea, personalissima, di cogliervi citazioni, in bilico tra l’omaggio e l’affronto, a Philip Roth: Annabel, uno delle protagoniste, ha, in alcune modalità di ribellione al padre, qualcosa di Merry, la figlia dello Svedese di “Pastorale Americana”. Così come l’attività masturbatoria assiduamente praticata da uno dei protagonisti maschili riportano a Portnoy del “lamento” omonimo.
Da annotare anche il seppur fugace riferimento ad Ayn Rand.
Gli ingredienti per un buon libro ci sono tutti. Eppure mi aspettavo qualcosa di più emozionante, imprevedibile, coinvolgente.
A metà della storia  ne ho intuito con chiarezza il finale. Non l’ ascrivo alla mia perspicacia bensì ad una grave smagliatura della scrittura, un difetto da cui sono infastidita.
Un racconto che pur non essendo banale risulta piuttosto lineare, insomma. Questo avrei scritto in definitiva di “Purity” se Franzen non avesse inserito la splendida parentesi di [le109n8aOrd] il capitolo che, per la sagacia con cui penetra e scandaglia le pieghe del rapporto di coppia tra due dei coprotagonisti, mi ha parzialmente riconciliato con l’autore e il libro.
Può un solo capitolo  riscattare   le 648 pagine dell’ intero romanzo? Un  dubbio increscioso che resta.
  

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