Oltre le colonne d’Ercole della letteratura nostrana non c’è solo quella americana. Tutt'altro. Il vecchio continente regala ancora scrittori di razza e perle d’inestimabile valore: Antoine Volodine e il suo Termius Radiosus ( edizioni 66thand2nd, traduzione Anna D’Elia) ne sono un esempio.
“Terminus radioso” non è un libro per tutti. Non mi si fraintenda: credo nel canone e santifico Harold Bloom. Credo in una scrittura alta (letteraria) e una bassa ( di intrattenimento) che possono nascere entrambe vive e vitali da ogni sottogenere ( fantascientifico, horror, giallo) . Credo anche che i libri, appartengano alla prima o alla seconda categoria, sono dal canto loro democratici e nel destinarsi ad un pubblico non facciano differenza tra lettori colti e lettori poco o mediamente istruiti. E’ tuttavia vero che, affinché l’alchimia tra chi legge e il testo si compia, è necessario che ciascuno scelga il libro più calzante per sé. Come un paio di scarpe comode per percorrere lunghe distanze, come un cappotto della giusta misura e consistenza per proteggersi dal freddo così il libro deve essere della nostra taglia.
Terminus radioso ha una costruzione non convenzionale. Non c’è un’evoluzione organica della trama. Alterna flussi di racconto a farneticazioni poetiche in cui spesso il lettore si perde, così come si perdono gli stessi protagonisti. Neppure la successione temporale del racconto è agevole. Proprio per questa potenza immaginifica, per questi continui strappi onirici a me è piaciuto. Dubito, però, che possa coinvolgere un lettore non appassionato di « letteratura che viene dal nulla e va verso il nulla» ( definizione di post- esotismo, la corrente di cui Voladine è rappresentante), dacché il romanzo non giunge neppure a una conclusione certa. Naturalmente il consiglio di lettura resta qui, a disposizione di tutti. Se decidete di prendervi il rischio del fuori pista, ripassate a raccontarmi, magari, come è andata l'escursione.
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