domenica 6 marzo 2016

Dove troverete un altro padre come il mio. Di Rossana Campo

“E ora voglio sapere –urlò a un tratto la donna con una forza terribile- voglio sapere dove troverete in tutta la terra un altro padre come il mio!” (Isaac Babel’).
Il libro di oggi è “Dove troverete un altro padre come il mio” di Rossana Campo, edizione Ponte alla Grazie.
Rossana Campo è una scrittrice di grande talento. L’avevo apprezzata già nel “Il posto delle donne” edito, sempre da Ponte alle Grazie, nel 2013. Confermo la mia ammirazione, mille volte moltiplicatasi dopo la lettura di questo ultimo lavoro, già candidato al Premio Strega, prima ancora che dalla Parrella e Riccardi  da Umberto Eco, e scusate se è poco.
L’anno scorso, di questi tempi, teneva banco un articolo uscito su The Stranger (rivista americana che si occupa di letteratura) dal titolo “Cose che posso dire dei master di scrittura adesso che non insegno più.” L’autore, Alain Boudinot, scrittore nonché ex insegnante di scrittura creativa, si pronunciava contro i memoir ,  cavallo di battaglia dei suoi studenti, facendo notare che
 a nessuno frega niente dei  problemi altrui soprattutto se sì è mediocri nel raccontarli. Aggiungeva che, salve poche eccezioni, tutti coloro che  vi si cimentano sono dei narcisisti che usano il genere come terapia  volendo che gli altri si sentano dispiaciuti per loro. Al contrario, le migliori prove di scrittura, secondo Boudinot, derivano proprio dalla volontà di regalare al lettore un’esperienza piacevole.
Dopo la morte del padre, Rossana Campo ne trasporta il ricordo nelle 160 pagine di questo piccolo gioiello. Non è, lo diciamo subito, un memoir. E’ piuttosto, per il lettore, l’esperienza piacevole di cui sopra. Attraverso i ricordi la Campo mira, riavvolgendo il nastro della storia di famiglia , a ritrovare  prima di tutto sé stessa.
C’è tanta vita in “Dove troverete un altro padre come il mio”. C’è delicatezza. Affetto. Un filo di tristezza che non è mai dolore pulsante. La narrazione è fatta di parole reali, concrete. Direi pensate, non inventate. Mai, in ogni caso, svenevoli o pietose. Ci sono una pulizia e una lucidità che catturano chi legge conducendolo all’ultima riga pienamente pacificati con Renatino, il padre squinternato che ferisce per poi curare i tagli  con la medesima inconsapevolezza con cui li  ha inflitti.
La Campo ha aspettato il giusto tempo per esporre la sua ferita. Ha scelto di mostrarla quando non c’è più sangue, quando la sofferenza è un ombra che si lascia solo  intravedere -pari come intensità alle gioie- quando sulla carne un tempo lacerata ci può passare il dito per tastarne la presenza. Ha atteso che il passato divenisse  una cicatrice che però non è sfregio ma  parte di sè,  suo segno di riconoscimento.






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