sabato 5 marzo 2016

"On writing" di Stephen King

Ho finito “On writing” di Stephen King, traduzione di Giovanni Arduino, edizione Frassinelli.
Appena chiuso l’ho sistemato nella pila dei libri da “perenne consulto”, quelli cioè che stanno sempre sul comodino o mi porto in giro per casa spulciandoli ogni tre e quattro.
Provo a prenderlo dalla parte inversa, questo “Sulla scrittura”. No, tranquilli. Non comincerò a parlarvene partendo dall’ultima pagina.
Tenterò piuttosto di vendervelo come un testo imprescindibile “On reading”, vale a dire come un manuale sulla lettura.
A me, quando arrivo per la prima volta in una città –lo confesso- non piace andare per musei esclusivamente per smarcare la visita dall’elenco delle cose obbligatorie da fare. Chiarisco il punto. E’ che i musei non sono centri commerciali, con vetrine davanti alle quali sfilare passivamente. Bisogna andarci preparati. Il massimo sarebbe accompagnati da una guida. Che senso ha fermarsi due minuti davanti a quella –tutto sommato- minuscola figura di donna che sorride enigmatica e che non è neppure poi tanto bella, se non lo si fa per valutare la mano e la mente del pittore? Così per i libri. Si, è vero. Leggiamo “per legittima difesa”, per ritrovare pezzi di noi stessi, per conoscere altre realtà, per vivere più vite, ma dovremmo leggere anche per imparare qualcosa sulla scrittura. L’obiettivo del mio suggerimento è di andare oltre le ore di piacevole evasione che una storia ci fornisce. Non pretendo che si abbia tutti un approccio da analisi semiotica -dopo la morte di Eco il termine non è del tutto ignoto- con il testo. Semplicemente sostengo che per apprezzare ciò che c’è sulla pagina e   gratificare –perché no- l'autore, riconoscendone non solo il talento ma anche il lavoro fatto per piegare alla propria volontà l’istinto, occorre saperne un minimo di tecnica di scrittura. King è – lo dico senza tema di smentite- un ottimo maestro. Regalatevi un giro tra le pagine di “on writing” come fosse la visita in una negozio di gemme dove vi spiegano le basi della faccenda. E’ probabilissimo, anzi certo che continuerete a non saper riconoscere ad occhio un diamante puro da uno di seconda scelta, ma almeno avrete imparato la differenza tra il brillante e lo zircone. Cosa non da poco, non credete?


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