Seicentosettanta pagine non sono roba per mammolette. Occorre un fisico bestiale per leggerle in poco meno di una settimana. Non deve essere stato uno scherzo neppure scriverle, a dirla tutta.
Ecco un essenziale identikit dell’ardimentoso eroe dell’impresa: autore giovane ma non esordiente. Uomo. Classe 1978. Toscano. Palleggia abilmente tra letteratura e web tanto da aver contribuito, in questi anni, a enucleare in rete un territorio per scrittori, lettori, cultori, di cui resta uno dei principali animatori; una zona che potremmo quasi considerare alla stregua di una provincia, entità geografica connotante, a detta unanime della critica, la sua precedente narrativa ( indizione). Un’ aspirazione precisa: puntare, questa volta, al grande romanzo italiano. Idee chiare su come sviluppare la trama: quattro robusti rami, quasi alberi a sé, su cui il lettore può catapultarsi in arrampicata libera senza correre il benché minimo rischio di finire a gambe all’aria: la struttura è a prova di cedimenti. Uno scrittore che non teme la lunga distanza e la sa gestire: mestiere e talento dosati nella giusta proporzione gli consentono di padroneggiare l’ispirazione, le idee e la lingua in modo che tutto fili.
Il romanzo in questione è “ I fratelli Michelangelo” edizioni Mondadori. Lo scrittore Vanni Santoni.
Antonio Michelangelo, personaggio poliedrico ma non camaleontico ( mantiene sempre una sua coerenza di base, anche nei cambiamenti, che, nel corso della sua vita, pochi non sono), tronco novecentesco di un albero ormai avanti negli anni, vuole incontrare i cinque rami -di cui dicevo innanzi- che sono germogliati dalle sue radici, seppur da madri diverse. Quattro dei suoi cinque ragazzi, ciascuno per ragioni diverse, rispondono all'appello, raggiungendolo nella località in cui si è ritirato.
Nel bene e nel male, per taluni con la presenza e per altri con l’assenza, con l’ amore o con l’indifferenza, con la cieca abnegazione verso se stesso, in alcuni momenti della vita schiava dell’ambizione e in altre delle più puerili ed egoistiche aspirazioni personali, finanche con il flebile e temporaneo sforzo di un radicale annullamento a favore dei figli nati in costanza di matrimonio, Antonio Michelangelo segna indelebilmente la sua prole. Per addizione o sottrazione, come ogni genitore, resta il co-artefice delle fragili personalità che sono sangue del suo sangue, chiamate per la prima volta a raccolta senza un’apparente ragione.
Il Saltino di Vallombrosa, dove, per necessità, per odio o per semplice curiosità, convergeranno obtorto collo i quattro, si profila per ciascuno come la meta di un faticoso tragitto, attraverso i sentieri della fanciullezza, dell’adolescenza e infine dell’età adulta, per arrivare non solo al padre, ma soprattutto a se stessi. Il percorso imporrà loro di rivivere lo smarrimento provocato dalla presenza costante alle proprie spalle del fantasma paterno, la sofferenza dei tentativi di affermazione professionale andati a monte, l'ebbrezza dei trionfi e la disillusione portata dagli insuccessi e degli errori impossibili da riparare. Logorante e amaro per loro, avvincente per il lettore.
Quattro rami innestati da Vanni Santoni su quel vecchio e consunto fusto principale di Antonio come veri e proprio micromondi separati. Il passato è un territorio che genera convinzioni, comportamenti, regole etiche, prammatiche inoppugnabilmente soggettive. È la terra dove ciascuno lavora per divenire signore indiscusso del proprio regno, istituendovi le proprie regole, il proprio percorso culturale, finanche la propria personalissima lingua. Abilissimo, Santoni nel far emergere lentamente i suoi personaggi dai rispettivi retroterra, e rimanere, senza la minima sbavatura o cedimento, nel sentiero tracciato per ciascuno, regalandoci spaccati singolari, caratteristici, eccentrici, insospettati ma tutti, proprio in quanto diseguali, accidentati e sconnessi, altamente coinvolgenti per il loro essere plausibilmente umani.