mercoledì 1 maggio 2019

Il cadavere di Nino Sciarra non è ancora stato trovato - Davide Morganti

Ho conosciuto di persona Davide Morganti solo qualche settimana fa. Per puro caso. Era già tra i miei contatti di FB. Poi, come sovente accade sui social, uno scambio di battute circa un argomento di interesse comune, breve ma interessante a mezzo di conversazione privata, ci ha fornito l’occasione non dico di rompere il ghiaccio, quanto meno di intaccarlo significativamente. Così, quando l’ho intravisto tra la folla, in attesa della metro sulla banchina della stazione Garibaldi, non ho esitato un solo attimo ad importunarlo, imponendomi perfino come compagna di viaggio nella breve tratta verso casa.
Se la convinzione che una persona debba risultati simpatica a prescindere, per la sola circostanza d'essere uno scrittore -di cui tra l'altro si vocifera un gran bene tra gli amici con   la tua stessa passione per la lettura- è un preconcetto bieco, allora mi dichiaro colpevole. Nonostante ciò, faccio salva la necessità di verificare che il sentimento umano  non ottenebri e comprometta la sensibilità e il gusto della lettrice; quindi proprio a causa della chiacchierata in metropolitana (che ha naturalmente confermato la mia primigenia, istintiva sensazione di affabilità) si è fatta più pressante la curiosità di leggere uno dei suoi romanzi, per verificare la tenuta della mia indipendenza di giudizio. 
"Il cadavere di Nino Sciarra" edito da Wojtek mi è parso  più idoneo alla bisogna rispetto al ben più corposo" La consonante K", edizioni Neri Pozza, già per altro in attesa in libreria.
Ci sarebbe molto da dire su “Il cadavere di Nino Sciarra”, tuttavia mai contravvenire alla regola di buon senso (e di buon gusto) di NON scrivere un consiglio di lettura più prolisso e artificiosamente articolato del romanzo a cui si riferisce, quindi sarò stringata.
Il romanzo di Davide Morganti è una personalissima antologia del novecento dimenticato. La ricerca del cadavere del titolo, quel Nino Sciarra fagocitato dalle macerie della casa-caos di Lago Patria è un mero pretesto per l’escursione, in arrampicata o in immersione, nello strano cimitero, che mette dentro vivi e morti, della letteratura diligentemente, o dovrei dire proditoriamente, accantonata fuori dai canali divulgativi ufficiali, se dalla critica o dallo  Stiticismo*, poco importa.
Tempo, morte e fede sono i tre fili che l’autore utilizza per sfilare dalla tela dell’oblio i romanzi prescelti per poi contemporaneamente intrecciarli in una nuova maglia, necessaria per rimediare al guasto, al gran male che ci affligge, ovvero l’uso di riconoscere il valore della scrittura solo sui social e dunque di usarla in maniera ossessiva per spargere odio, rancore, pareri, consigli, ricette.
Un romanzo denso, impavido, dalla personalità fortissima questo di Morganti, il quale, con uno sguardo critico completamente libero, affrancato da qualsiasi riferimento ideologico, sembra voler trarre dal materiale che maneggia un nuovo canone, un paradigma che si spinga oltre il recinto della scrittura esteticamente apprezzabile o  grammaticalmente corretta, che accolga anche i libri non memorabili, anzi brutti, con trame noiose, però capaci di comunicare segnandoci.
 Non oso paragoni o richiami ad altri autori o altri romanzi. So che Morganti non ha in particolare simpatia i tentativi di assimilazione. Ho il dubbio, finanche, che disapprovi le citazioni di cui mi sono fin qui servita.
Res sic stantibus persevero nel depredare Morganti di un ultimo giudizio, che trovo particolarmente calzante:-“Il suo è un libro feroce, malinconico, che andrebbe letto in penombra, come ho fatto io, rannicchiato contro la parete viscida di umidità che mi ha bagnato la schiena per ore”. Così l’autore  scrive del “ Diario di un vecchio” di A. Fiore.  Così mi permetto di dire io della suo romanzo, “ un diario che è storia non di un uomo , o non solo, ma di una scrittura” e, dalla mia prospettiva, storia di una lettura.


*Stiticismo: secondo la definizione dello stesso autore, corrente di inizio Duemila assai diffusa in Italia, quella dei romanzetti stiracchiati con poche parole e con storielle minime minime che rappresentano il reale.

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