venerdì 15 gennaio 2016

LA SUPERLATIVA MARIETTA


Che persona Marietta. Un metro e cinquanta di donna, di quelle minute ma ben proporzionate. Tutto al posto giusto. “Una bambolina”, dicevano di lei, in gioventù.
C’è sempre stata nella mia vita. Da quando sono nata. Io sono di fine luglio, lei di giugno. Dunque alla mia nascita era già là ad aspettarmi.  Vicine di casa, vicine di banco. Amiche per la pelle.
Marietta è stata, per lungo tempo, superlativa in tutto.  Intelligentissima, praticissima, studiosissima. Qualsiasi cosa c’era da fare lei si rivelava, fin da subito, abilissima.  Nei rapporti umani era simpaticissima, gentilissima, apertissima. Le voci sulla sua eccezionalità si rincorrevano di bocca in bocca. La sua fama la precedeva ovunque, e comunque con benevolenza. Non una persona era in disaccordo sul fatto che tale popolarità fosse meritatissima.
E lei, lei si muoveva in quest’eccezionalità con grazia ed eleganza. Con naturalezza. Mai un atto di superbia o di arroganza.
Un bel mattino, però, Marietta si svegliò cambiata. In sogno aveva, infatti, ricevuto la visita di una fata vestita con i colori dell’arcobaleno. Volendola mettere alla prova, la maga era venuta a riprendersi quel superlativo di cui le aveva fatto dono alla nascita.
La mia amica non si perse d’animo. Pensò subito di rimpiazzare il superlativo con degli avverbi. Si alzò quindi velocemente, preparò premurosamente la colazione ai figli e dolcemente li svegliò.
Continuò la sua vita  a questa maniera,  per lungo tempo. Per ogni azione da compiere sfoderava l’avverbio giusto. Se c’era da sorridere, lo faceva gentilmente. Se c’era da scusarsi, garbatamente. Visse così, attivamente, laboriosamente, diligentemente e allegramente fino alla notte in cui la maga tornò a visitarla in sogno di nuovo.
Un’altra prova da superare. Al risveglio, la cara Marietta si trovò priva anche degli avverbi.
Dopo un attimo di smarrimento, si ingegnò anche questa volta a trovare una soluzione.
Senza superlativi e senza avverbi l’unica risorsa potevano essere i predicati nominali. “Sono sveglia”, si disse, aprendo gli occhi al mattino, “sono riposata e desiderosa di cominciare la giornata”.
Non c’è persona al mondo che abbia fatto fruttare il predicato nominale meglio e più di Marietta. “Sono contenta di vederti” diceva a quanti le capitava di incontrare.  “Sono felice di aiutarti”, se vuoi. “Sono determinata”. “Sono pronta”. “Sono onorata”.
Per la terza volta la maga tornò in sogno. Questa volta non per prendere, bensì per restituire. Al suo risveglio Marietta ritrovò gli avverbi e tutti i suoi vecchi superlativi a lungo spariti.
 Aveva ampiamente meritato quei doni dimostrando di essere, e non semplicemente di farci.

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