sabato 13 febbraio 2016

Porci con l'aureola

Quella volta lì che mi successe questa cosa mi tornarono in mente le raccomandazioni che mamma mi faceva da bambina e che io subivo rancorosa con fastidio. Non perché mi mettessero a disagio –mi ero guadagnata, precocissima, la qualifica di senza pudore- piuttosto perché mi costringevano a pensare male di lei. Tutta quella diffidenza verso il genere maschile mi sembrava eccessiva e non le si addiceva. Mamma è sempre disponibile verso il prossimo e ci ha catechizzato alla bontà come valore assoluto. L’immagine di persona caritatevole che avevo di lei strideva, dunque, con l’altra di malpensante che veniva fuori in quei frangenti. 
Non potevo  certo immaginare  che  avrei riempito a mia volta  la testa  delle mie figlie di avvertimenti simili.  Gli inglesi, lo avrei imparato anni dopo, le chiamano “le regole del no” e le insegnano fin dall'asilo. 
“Non restare sola con un adulto a meno che non ci sia una autorizzazione a tal proposto della mamma”. 
“Non nascondere alla mamma -non bisogna vergognarsene- se qualcuno tenta di toccarti”.  
“Non abbassare mai la guardia, neppure nel caso in cui si tratti di parenti stretti e amici di famiglia.”
All'epoca del fatto non ero ancora maggiorenne, più precisamente stazionavo nell’età in cui le istruzioni d’uso della vita vuoi scriverle tu, piuttosto che subire quelle altrui. Sarà stato per quello che fui ad un passo così dall'abbassare la famosa guardia.
Non ricordo le circostanze che mi indussero ad accompagnare mamma al santuario; da tempo la messa non rientrava nelle mie abitudini. Probabilmente il mio ragazzo era fuori per lavoro, le amiche tutte impegnate altrove e pur di non rimanere a casa sola, mi parve una buona idea farle, una volta tanto, compagnia. Ho, invece, chiara memoria delle ragioni che mi spinsero ad inginocchiarmi presso il confessionale. 
Altro mistero, lo strano  rapporto di mia madre con il sacramento della penitenza, che mi si chiarì quel giorno. Cattolica praticante ci spingeva ad andare alle celebrazioni, ci spronava a prendere la comunione, ma ne’ avevo visto lei farlo ne’ aveva mai preteso che noi ci appartassimo con un prete per chiedere perdono di peccati.
Io, invece, in quel periodo mi sentivo terribilmente in colpa. C’entravano i miei anni, naturalmente. E’ facile intuire in che tipo di inosservanza della legge divina, causa giovinezza, stessi incorrendo. Eravamo, il mio ragazzo ed io, al primissimo capitolo delle “esplorazioni d’amore”: oltre la soglia del bacio ma ancora decisamente lontani dalla fatidica “deflorazione”. Pensavo di aver ridotto al silenzio la mia pudica coscienza, ma evidentemente qualche residuo retaggio di una educazione moderatamente bigotta ancora produceva effetti. 
Vidi il confessionale vuoto, l’attempato prete dall'aria bonaria in attesa e mi ci avventurai.
Paziente, il vecchio mi chiese l’elenco dei peccati. Non aspettavo altro che vuotare il sacco per scaricarmi dal peso delle furtive e acerbe palpeggiate. Dei due esseri umani in quella cabina di legno la più innocente ero io. Con un gesto paterno mi prese le mani giunte che erano sospese a mezz’aria e, abbassatele con delicatezza perché non ne scorgessi le intenzioni, fece per accompagnarle verso il suo basso ventre. Non lasciai che le indirizzasse al fallo.  La lampadina mi si accese rapida nel cervello facendo luce sulle vecchie raccomandazioni della mamma. Mi alzai veloce e fuggii via. Aveva ragione mia madre a diffidare. Porco Giuda, ma anche il prete. Di vecchi zozzi pullula il mondo, perché dovrebbe fare eccezione la casa di Dio.

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