Chernobyl, trent'anni dopo

Il 26 Aprile di trent'anni fa sulla Russia sapevo tutto quello che c’era da sapere: un covo di comunisti nemici giurati dell’America con un leggendario arsenale atomico puntato verso di noi. Lo avevo sentito ripetere mille volte al telegiornale e dai professori. Io stessa lo avevo scrupolosamente riportato in ognuno dei temi in classe accumulati nel corso della onesta e diligente carriera scolastica giunta ormai al quarto anno delle superiori. Le altre verità sulla seconda potenza mondiale erano voci di sottofondo sussurrate con un pizzico di soddisfazione. Appena un po’ più in là dalla ostentata solidità di facciata, dei nostri avversari si raccontava, infatti, che fossero alle soglie della fame, in bilico tra la casalinga loquacità artificiale della vodka, di cui erano quasi perennemente ubriachi e il pubblico mutismo indotto dalla minaccia delle deportazioni siberiane di cui erano succubi. Eppure, nonostante la spada di Damocle della guerra fredda oscillasse sulle nostre e