giovedì 14 aprile 2016

E che peccato!

Dare un senso nuovo alla parola peccato. Di questo si era trattato, infondo. Era accaduto nel più semplice e naturale dei modi, casualmente, attraverso il tentativo di liberare le figlie dalle grinfie del demonio. Fin dall'età della ragione aveva sentito vegliare su di lei più che il buon Dio, con la sua aura benevola, il diavolo, con il suo ghigno sinistro. Gli imperativi morali tradizionali, infatti, non li aveva interiorizzati in vista del paradiso quanto piuttosto per sfuggire alle fiamme dell’inferno. Ed era stata sempre attenta a non deragliare dalla via celestiale quando si era trattato di prendete decisioni difficili, di quelle che implicano una rottura con i mores.
C’è un tratto della vita, esordio della fase adulta, nel quale il concetto di caduta è completamente assorbito dalla sfera sessuale. Sono gli anni dell'adolescenza, naturalmente. Magari non era vero per tutti. Magari era opportuno restringere il campo e aggiustare il tiro alla sua di adolescenza, consumatasi intorno agli anni ottanta in un quartiere periferico. Il primo bacio, poi le palpatine, infine il primo rapporto sessuale completo. Azioni per affrontare le quali aveva costantemente combattuto un fiero corpo a corpo con l'angelo caduto che le alitava instancabile sul collo.
Voleva che per le sue figlie le cose andassero diversamente, fossero più facili. Aveva lavorato allora a spostare le idee di trasgressione e colpa dalla dimensione privata a quella pubblica, insegnando loro che i comandamenti etici impongono “solo” il rispetto per se stessi in primis, quindi dell’altro, poi dello stato e  infine delle istituzioni. Riguardo al sesso -prima o dopo, fuori o dentro il matrimonio- le era parso plausibile dedurre che non avesse alcuna connotazione peccaminosa per Dio, a patto di viverlo come gesto di libertà. Non di liberazione -seppure giungendo a questa conclusione   si era infine liberata del famoso diavolo- ma di libertà. Se non si soggiace a ricatti, a pressioni, neppure alla spinta della curiosità, se si ha, cioè, la fortuna di poter vivere la conoscenza carnale con il "soggetto" del proprio desiderio esclusivamente in virtù di una consapevole volontà personale, il sesso, lungi dall'essere una mortificazione, un subire, è  gesto la cui reale essenza peccaminosa si concretizza solo nella rinuncia.

E’ così, nel loro lessico famigliare, l'atto nefando non era di certo o non più quello che si è soliti additare con l’indice teso a riprovazione, ma quello la cui rinuncia si stigmatizza con un’alzata di spalle  e con l'esclamazione: - “Astenersi? Che peccato!”.

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