Ma davvero sono
incinta? Non ci posso credere. No, cioè, ci devo credere. Stando a questa sottospecie
di termometro digitale che mi trovo tra le mani, alle due cazzo di strisce colorate
comparse nel riquadro, io aspetto un bambino.
Gesù! Da quanto non ne aspettavo uno? Dall’ultima volta che ho avuto una
figlia, a occhio e croce venti anni fa. Che cavolo dico? Straparlo. L’emozione,
chiaro. Ma poi, non ero in menopausa? Sì, che sono in menopausa, Cazzo!
E ora, che altro succede?
Oddio, il treno sta partendo, si sono chiuse le porte. Il capotreno fischia. Ho
dimenticato il kindle a casa.
Mannaggia.
-Amore? Amore! -
Non posso urlare, c’è gente! Leggi il labiale, prova a capire dai gesti: guardami!
Sto mimando un libro, lo riconosci? Faccio pure finta di girare le pagine. E questo
è un no. Vedi? Pollice e indice messi ad angolo retto e torsione del polso.
Dai, perché non afferri? Non si faceva così da piccoli per dire: - “Non c’è!”. Mi
arrendo. Quando lo troverai
a casa, sul tavolo della sala, al tuo ritorno,
allora si, che ti sarà chiaro. Penserai di me che sono la solita cap' e 'mbrella. Hai sposato una nzallanuta. Non è mica una novità!
Ma che giornata. Ed è
appena cominciata. Chi è sto buzzurro con la suoneria delle “Quattro stagioni
di Vivaldi” a palla, mo’? Quanta scostumatezza in giro!
Aspetta, aspetta. Mi
sa che non è un telefono, quello che squilla. Ma sì, certo: è la sveglia. La
mia sveglia. La nostra sveglia.
Ossignore, che sollievo!
Non sono incinta. Non
sono neppure su un treno. Sono nel letto, a casa mia e il Kindle sta a portata di mano sul comodino, al solito
posto.
Che sogno. Pazzesco. Sicuramente è colpa dell’ansia per la partenza. Perché
ieri sera non ho fatto la valigia. Mi ero imposta di prepararla questa mattina,
così, tanto per fare la gradassa con me stessa. Per una questione di puntiglio.
Devo smetterla però di bullizzarmi. Non è mica obbligatorio dimostrare a me
medesima che posso uscire fuori dagli schemi della metodicità. Che sono più
forte io del rigore e dello zelo. Era prevedibile che quel bastardo traditore dell’inconscio
mi mollasse. Il pappamolle ha ceduto, si è fatto prendere dal panico.
-Non me lo scordo il supporto di lettura digitale, stai tranquillo, cagasotto!
-
-Te lo giuro! -
Voglio far fruttare le quattro ore di viaggio per finire “Viale dei Misteri” di
Irving. Non bellissimo, la verità, ‘sto romanzo. Anzi. Piuttosto una mezza
delusione. Preferisco sciacquarmelo di torno al più presto.
Mi alzo. Mi arrendo all’ apprensione. Sventolo bandiera bianca. Prima comincio
la giornata meglio mi sento.
Che ne faccio del sogno? Lo racconto al consorte o lo tengo per me? Ma chi prendo in giro: non so tenermi un cecio, che sia uno, in bocca.
Che sto qui a fare il pari e il dispari: chiaro che gli spiffero tutto, con
abbondanza di dettagli.
E però, che bacio. Se lui non dovesse scappare al lavoro e io non fossi
“mangiata dall’ansia” ...
Meglio chiuderla qui. Niente diversivi. Rimandiamo a domenica prossima. Verrà a
prendermi a Bologna. Deciso, così guadagniamo tempo.
La pulitina alla casa gliela do. Una cosa veloce, tanto per sentirmi a posto
con la solita coscienza tiranna.
E ora, bagaglio, a me.
Cavolo! Ho fatto tutto con estrema calma eppure, come al mio solito, sto
uscendo non in anticipo, di più.
Vorrà dire che ci andrò a piedi, in stazione.
Venti minuti? Come è possibile che ci abbia impiegato solo venti minuti,
forse anche meno, per arrivare?
Ho camminato praticamente all’indietro. Almeno così mi è sembrato.
Vediamo un po’: dove mi piazzo? Meglio se mi metto in prossimità del
tabellone. Resto in piedi, naturalmente. Non sia mai che non mi autoflagelli mettendomi
a sedere comodamente nell’apposita sala. Sono nata per soffrire. Il supplizio è
ontologico. E’ parte essenziale della mia vita. Ed è anche un po’ rito
scaramantico, alla fin fine. Se mi risparmiassi le tribolazioni poi mi toccherebbe
essere ancora più guardinga. Si sa come agisce la sorte con quelli che si
rilassano troppo: li adocchia e zac, li castiga per lassismo, per manifesta
deficienza di stress.
Non faccio altro che guardare ad intervalli regolari il tabellone delle
partenze e la gente intorno. Tabellone-facce. Facce-tabellone. Tabellone-facce.
In questo caso è più corretto dire che sto ammazzando il tempo o che il tempo
sta ammazzando me? Ma che mi rido, scema? Non sono per niente spiritosa. Piuttosto,
non riesco a sopprimere il ghigno beffardo che mi si è appiccicato sulla faccia:
tipica emiparesi pseudo burlesca da preoccupazione per viaggio.
Potrei sbagliarmi ma, contando la persona che sta entrando adesso in
stazione, gli zoppi da quando sono uscita di casa ad ora passano a tre.
Questo, poi, mi ricorda qualcuno. Oscilla parecchio, poverino. E’ per via del
piede “ad angolo retto” che punta
ostinatamente ad ore due. Non è solo il piede, però. C’è qualcos’altro che me
lo rende familiare. Pelle abbastanza
scura, capelli neri: sembra un messicano. Ma certo: Juan Diego Guerrero, il
protagonista del libro. E’ lui! Uscito pari pari dal romanzo di Irving.
Devo distogliere lo sguardo all’istante. Se continuo a fissarlo rischio di
metterlo a disagio “per il suo passo claudicante
e la scarpa deforme confezionata apposta per il piede offeso”. Cit. Irving.
E si, meglio non rischiare: dovessi trovarmelo a spiare tra i mie pensieri, il
Maestro, va a finire che se non gli do i crediti mi chiama in giudizio per
violazione del copyright. Ahahahah!
Scommetto che l’uomo accanto alle porte con il borsone sportivo e le due
valigione è un calciatore. Magari uno della Spal. Forse è per quello che
ricambia le mie occhiate. Pensa che l’abbia riconosciuto e si aspetta che gli chieda
un autografo. Sta fresco. Dovesse avere difficoltà con i bagagli, ecco, allora,
visto che ho una mano libera, potrei pure aiutarlo. Ma gesti di adulazione,
quelli li escludo. Per un giocatore di pallone, poi. Sapesse che invece lo fisso
perché pare pure lui un personaggio del libro. I “chiassosi pappagalli stampati sulla sua camicia hawaiana”, la
cicatrice a forma di elle sulla fronte: questo qui è l’incarnazione di Edward
Bonshow, il missionario americano. Perfino Irving rimarrebbe di stucco a
trovarselo davanti.
No, vabbè. Non ci credo. Sono su scherzi a parte. Guarda tu chi si è materializzato ora all’ingresso: “sui quarantacinque anni, grasso; una figura
quasi cherubica anche se non proprio un essere celestiale”. Ci mancava Fratello
Pepe, uno dei due gesuiti del racconto. Non mi stupirei se conoscesse Edward. Infatti.
Conosce Edward. Come non detto: si stanno spartendo le valigie, segno che sono
compagni di viaggio. A questo punto però l’ipotesi che Edward sia un giocatore
va a farsi benedire, subentra la quasi certezza che l’uomo con i pappagalli polinesiani stampati sulla camicia sia pure lui
un chierico. Tutto torna!
Non mi starà piacendo
il libro di Irving ma fa di tutto per rimanermi impresso. Anzi, per
risucchiarmi. Prima Juan Diego, ora Edward Bonshow e Fratello Pepe. I
protagonisti del romanzo, almeno quelli maschili, ci sono tutti. Trasportati
con una macchina spazio-temporale dall’orfanotrofio di Oaxaca, Messico, alla
stazione di Ferrara, Italia. Questo “Viale dei Misteri” comincia ad
impressionarmi. Uno poi dice le coincidenze.
Che bravo, il consorte: mi ha preso il posto singolo. Devo ricordami
di ringraziarlo. Sono consapevole che una bella fetta dell’ansia da viaggio da
cui mi faccio affliggere dipende dall’incognita “vicino”. Prima o poi farò il
callo alla prossimità fisica coatta tra passeggeri. Inutile mentire a sé
stessi. Altro che farci l’abitudine. La verità è che più viaggio più il
catalogo degli “sgraditi” si allunga. Aereo o treno non fa differenza. La mia età,
ovvio, costituisce pure un aggravante. Riformulo: più viaggio e invecchio e più
le convivenze negli spazi angusti dei mezzi di trasporto da imbarazzanti si
fanno insopportabili. Gli attaccabottoni seriali: irritanti. I bambini
scostumati: odiosi. I loro genitori permissivi: detestabili. I mangiatori di
aglio con l’inconfondibile alitosi: abominevoli. Le persone con abiti sintetici
e pessima igiene personale: molesti. A picchi incommensurabili la mia insofferenza
va ai logorroici che si attaccano al cellulare partecipando l’intero convoglio
delle proprie vicende lavorative et familiari, nonché agli incivili che si
stravaccano strafottenti debordando dal sedile per poi invadere abusivi il
bracciolo altrui. E che ci posso fare se il menefreghismo di certi individui mi
fa salire una rabbia difficile da dissimulare. Adoro questa postazione da sprucida. Valigia sistemata, mi seggo e
mi ritiro nella lettura. Cascasse il mondo intorno.
Cara dirimpettai incinta che mi sorridi maliarda, con il chiaro intento
di spingermi a chiederti a quando il lieto evento e il sesso del nascituro, spiacente
di deluderti. Sembri una persona a posto. Anzi, lo sei sicuramente. Provi
disagio a viaggiare da sola. Hai pure un tantinino di timore per via del
pancione e tutto il resto. Lo capisco. Credimi. Sono disposta, per dovere di
buon vicinato, a badare alle tue cose ogni qualvolta sarai costretta ad andare
in bagno, promesso. Pur tuttavia non cadrò ostaggio della buona educazione,
della mia sindrome da “anima pia”. Non mi impegnerò in una conversazione con te.
A meno che tu non decida di sgravare qui, ora, io resterò muta, trincerata
dietro le pagine di questo benedetto libro. Scusami tanto. Non ero così carogna.
E’ che questa roba si impara militando. Dopo un tot di miglia scatta di default
la misantropia del passeggero. Una specie di effetto collaterale che
sviluppiamo noi viaggiatori cronici. Più chilometri facciamo e meno siamo
disposti alle interazioni umane. E’ un dato di fatto. Nessuna questione
personale. Vedi capitolo precedente.
Bella la stazione di Afragola. Sarà pure una cattedrale nel deserto, ma
è assolutamente incantevole. Anzi, secondo me la sua solitudine geografica ne
rafforza in qualche modo la magnificenza. Prima o poi vengo a visitarla. La
prossima volta potrei scendere qua, farmi un giro e poi prendere il treno
successivo per Napoli.
Che avrà da agitarsi tanto il tipo
dietro di me? Amico, ti sei comportato bene fino ad ora e poi mi diventi a
tradimento un disturbatore? Sei più ansioso della sottoscritta? Stai veramente
inguaiato!
Sarà di quelli che, diretti a Napoli, si preparano all’arrivo appena lasciata Termini?
No, perché io sono molto influenzabile. Mi conosco. Se è così, non resisterò a
lungo seduta.
Sento che sta partendo già l’effetto emulazione e purtroppo l’esperienza mi insegna
che non sarò l’unica vittima della compulsione ad anticiparsi.
Tra un attimo si formerà il solito gregge degli apprensivi. Sta a vedere!
Basta il movimento impercettibile di uno solo di noi che discretamente si
infila la giacca o ripone gli effetti personali e il gioco è fatto. E’ sufficiente
il clic di una ventiquattr’ore che si serra o la zip di una giacca che si chiude
per far scattare sull’attenti il popolo dei fibrilloni.
Un battito di ciglia e la coda nel corridoio si è materializzata. Neppure
controlliamo gli orologi. A fiducia. Obbediamo ciecamente all’impulso
ancestrale di una forma di idiozia stampata nei cromosomi. Un riflesso
pavloviano. Come formiche laboriose ci alziamo e trascorriamo quell’ultima
oretta -se ci va bene- in piedi, davanti alle porte, carichi come muli, sudati,
anzi di più, congestionati, sotto il duplice attacco del riscaldamento del treno
e dei soprabiti in cui ci siamo già, di tutto punto, imbacuccati.
Derubato? Quindi non si è già preparato a scendere. Bene, cioè male. Mentre
dormiva gli hanno rubato dalla ventiquattr’ore che teneva sotto la poltrona
cellulare e tablet.
Roba da pazzi. Nessuno si è accorto di niente.
Mi mortifica il fatto di non aver avvertito alle mie
spalle, che ne so, un movimento, un rumore. Mi sento una babbea. Colgo sui
volti dei miei compagni di avventura lo stesso turbamento.
Le manovre del mariuolo sono sfuggite
a tutti. A quelli dietro, di lato, davanti. D'altronde parliamo di borsaioli
professionisti.
Il derubato, un vero signore. Tutto sommato si sta comportando benissimo. Non
un urlo, una bestemmia, una parola fuori posto. Una compostezza da gentleman
inglese. Al posto suo io mi sarei fatta venire il male. Minimo annegherei in
una valle di lacrime.
Davvero! Mi fa venire i brividi ‘sta cosa che il reo si nasconde tra di
noi. Vatti a fidare. Sembriamo tutti brave persone.
Nemmeno a perquisirci uno per uno. Il colpevole si sarà disfatto della
refurtiva nascondendola chissà dove. Uh, Gesù! E se l’avesse messa nella mia
valigia, come capita in certi film, per usarmi tipo insospettabile corriere e
io finissi in manette? Pensa che scuorno!
Calmati, cretina! Non ti sei mossa dal tuo posto e la valigia ce l’hai proprio
sopra la testa. Ragiona! Come l’avrebbe toccata?
Mi sento a disagio persino a guardarmi intorno. E se leggessi negli occhi di
qualcuno dei presenti i segni della colpa e il criminale capisse che io ho
capito? E se individuassi il colpevole e lo smascherassi e quello poi dopo se
la pigliasse con me e si vendicasse?
I segni della colpa,
capisse che io ho capito? Smascherassi? vendicasse? Ma come parlo, anzi, ma
come penso? Ecco, questi sono gli effetti dei polizieschi sulla gente. Ma
nemmeno in un episodio di Maccio Capatonda!
“ I zinghiri, sono stati i zinghiri!”
A parte gli scherzi, escluderei la signora incinta: date le dimensioni della
pancia non avrebbe potuto agire inosservata. Lo stesso dicasi di Juan Diego: con
quella zoppia cosa vuoi che faccia senza che lo si noti. Edward e fratello Pepe
manco a pensarlo: manifestamente incompatibili con la delinquenza per ragioni
di tonaca. Mi rifiuto categoricamente di fare insinuazioni sul giovanotto
seduto dietro alla vittima: si sta adoperando fattivamente nelle indagini. Mica
correrebbe il rischio di farsi sgamare. E se la sua fosse una manovra
diversiva, un modo per distogliere i sospetti da sé stesso?
Ma chi sono, Agata Christie sull’Oriente Express?
Solo che ad Agata Christie nessuno la infastidiva con whatsapp inopportuni. Chi sarà, adesso? E no, caro il mio coniuge,
non puoi disturbarmi sul più bello.
-Non sono ancora
arrivata. Il treno è in ritardo. All’arrivo poi sarò costretta a rimanere nel
vagone in attesa della polizia postale. Un tizio è stato derubato del cellulare
e del tablet- Invio.
-Ma dai! Questo è il
fatto del tuo sogno di stanotte. -
- Ora che ci penso, ma sai che il viaggio è cominciato con un sacco di
stranezze? Hai presente il libro di Irving che mi hai dato da leggere? Qua nel
vagone ci stanno tre tizi che sembrano Juan Diego, Edward Bonshow e Fratello
Pepe. Peccato per la donna incinta dirimpetto a me, decisamente fuori contesto.
J- Invio.
-Se fossi una bambina di tredici anni, tu saresti Lupe, la sorella
chiaroveggente di Juan Diego. Lei sapeva
leggere il pensiero. Sapeva cosa passava per le menti degli altri e a volte non
solo quello. Tu tutto sto fatto te lo sei sognato stanotte. La gravidanza,
che non trovavi il kindle…Chiaroveggenza!
–
- Esagerato! - Invio.
-Ma no, ti dico.
Impressionante. Tu hai criticato il libro e Irving si vendica catapultandotici
in mezzo. Chissà cosa potrà ancora accadere-
-Non fare il cretino e non mi dire cose per turbarmi. Non è il momento adatto
per scherzare. Torno alle indagini, poi ti racconto <3 - Invio.
Uffa! Ancora? Un altro uazzupp? E
gliel’ho pure detto di smetterla.
Ah, no. Notifica di un tweet.
Cazzo! Questo lo devo girare al coniuge.
-INGVterremoti: Mwp 6.1 del 19-02-2018 ore 07:56:59 (Italia)
in zona: Oaxaca, Mexico- Invio.
-Senza parole. Chiudiamola qui. Comincio a cagarmi sotto pure io!”