giovedì 13 maggio 2021

ganglio 46


 Sono preoccupata. Anzi, preoccupatissima. Sono giorni che non mi sputi. Non sei mai statǝ puntuale, è vero. Però l’intervallo tra una sputata e l’altra non è mai stato così lungo. Da quando porto quest’assurdo conto del tempo? Non saprei. Credo che sia un’abitudine invalsa inconsciamente e che ora si è definitivamente radicalizzata. Al terzo giorno il pensiero si fa acuto e batte come un martello, cioè conserva ancora una certa cadenza. Al quarto perde ogni appiglio di ragionevolezza e diventa acufene ininterrotto che sferza il cervello. Perché, gioia mia, non mi sputi? Perché trattieni in bocca tanto a lungo il liquido vischioso?

Perché lo rimandi giù, addirittura? Eppure, ti idrato di continuo. Bicchieri di acqua su bicchieri di acqua. E l’aranciata e la bibita gassata. Perfino le minestrine, per te, le faccio lasche lasche. Sputami, tesoro mio. Sputami tutto il tuo amore. Dice che lo sputo è un dono. L’ho letto sul computer. Me lo ha pure confermato un’amica che ha chiesto ad una sua amica assidua lettrice di riviste psicobanalitiche. Lo ripetono tutti in coro che è un segno di affetto. E’ regalare ad altri un pezzo di noi. Non mi ami, allora? Perché mi punisci negandomi il tuo dono? Non mi sono fatta amare. Ne sono stata incapace. Sarà che ti ho pulito troppo solertemente gli sbavi di piccinǝ? Perché ti ho costrettǝ perennemente ad indossare il bavaglio? Se vuoi compriamo una sputacchiera. Colorata, magari rossa. Con una imboccatura larga, così che non fallisci il tiro. No. No. Scusa. Perdona la mia mania del controllo. Magari ne preferisci una con il collo stretto: ti stuzzica di più? Forse ti ispira maggiorante esercitare la mira? Ecco, si, bravǝ. Facciamone un gioco. Un tiro alle freccette, tipo. E quando ti sarei bene allenata, allora punterai su di me.
Ci pensavo ieri, alla mia disperazione dei giorni in cui non mi sputavi. Quanto tempo è passato. Chissà poi com’è che il dramma si è smaterializzato dal nostro orizzonte esistenziale. Quando? Chissà da cosa sarò stata distratta e ho mollato la presa. Chissà da cosa sarai statǝ, magari, distoltǝ tu e hai allentato l’embargo della saliva. Quando ci incontriamo, talvolta, mi viene da chiederti se sputi, ora, e con quale frequenza.
Su chi, soprattutto, ora che me ne sono andata. Di quante cazzate, nella mia vita, ne ho fatto questioni personali, scassando le scatole a chi mi stava intorno. E’ avere l’impressine di portarsi sulle spalle un centro che ci rende obiettivi altrui, nel bene e nel male, che frega. Il leggere costantemente le interazioni con gli altri in termini di negazione o dono. E’ l’essere perennemente in attesa di una gratificazione, quella carezza che non arriverà mai da chi la desideri e che ti costringe, alla tua età, in una rocambolesca manovra ginnica sperando nell’ennesimo applauso negato

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