giovedì 13 maggio 2021

ganglio 37


 Eccole, in tutta la loro realtà materiale, alcune delle cose che mi nuotano nel cervello. Sono “pesciolini” con cui raccogliere i capelli a coda di cavallo. Hanno il vantaggio, rispetto ai classici elastici che imprimono alla chioma indesiderate ondulazioni ribelli, di non rovinare la messa in piega. Per questo li preferisco. Preferire è in realtà, nel mio caso, un termine impreciso. Sottintende l’esistenza di diverse opzioni e la libertà di variare le scelte che io, invece, ottusa e testarda, non mi concedo. O pesciolino, o morte! Scherzo ovviamente. Più banalmente, senza questo prezioso arnese, scoperto peraltro tardivamente, i capelli non me li lego affatto. Da qui la compulsiva accumulazione dell’oggetto. Rigorosamente nella variante di colore più scura. Rigorosamente nel più piccolo tra i formati disponibili. Rigorosamente acquistati alla solita bancarella del mercatino di Antignano al Vomero ( dove se no!), assolutamente imbattibile quanto al prezzo: cinquanta centesimi di euro cadauno, a fronte dei due euro e cinquanta che mi costò, all’inizio del “mio esilio ferrarese”, l’unico esemplare ( divenuto ormai reliquia proprio in ragione di quella spesa pazza) acquistato, versando in stato di assoluta e inderogabile necessità, in città. Un bel branco di pesciolini che guizzano nell’oceano della mia psiche. Nella boccia di vetro di questo ganglio si dirigono, con sorprendente fluidità, dalla concretezza dell’esigenza di tenere a bada i capelli, all’astrattezza di un simbolismo che va a ficcarsi dritto filato nella rete delle mie insicurezze, delle nevrosi, della precarietà di una vita di pendolarismi, rendendole palpabili, reali. Ne avrò a sufficienza? Uno in ciascuna borsa, uno in ciascun bagno di ciascuna delle due case, uno nel cassetto di ciascun comodino non saranno mai sufficienti perché: e se poi me li perdo? E se poi si rompono? E se poi non posso tornare al Vomero?

Quanti branchi simili mi frullano in testa. La verità è che ho costantemente addosso, non direi una vera e propria paura quanto una tensione, una apprensione. Vorrei continuare ad avere sempre e ovunque a portata di mano tutto il cumulo di piccole dipendenze che ho collezionato girando per il mondo. Così ovunque e sempre faccio scorte di cose che porto nei luoghi in cui temo di patirne la privazione. Sono una formica infaticabilmente assorta a stipare riserve. Riserve che sono, con tutta evidenza, surrogati delle persone, dei luoghi, dei sapori e profumi da cui sono dipendente e perennemente in astinenza. 

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