giovedì 13 maggio 2021

ganglio 30


 La linea di confine tra il ganglio materia psicologica impegnativa e bolo ideologico sul quale perennemente si rumina, talvolta è sottile, impercettibile.

Questo di oggi è, perfino, a guardarlo da vicino, un ganglio politico.
Il mio grande rammarico è ancora e sempre la mancata collocazione tra i lavoratori delle casalinghe.
Non aspiro al posto d'onore, quello in virtù del quale, cioè, si riconosca loro il diritto di sedere al vertice della piramide sociale, benché, essendo la famiglia la prima cellula di qualsivoglia struttura aggregante su basi solidali, la casalinga, in qualità di sua generatrice biologica, di sua amministratrice a tempo pieno, di governante ad interim e domestica perpetua, meriti una considerazione adeguata al ruolo che in essa copre.
Chiedo che si riconosca la casalinga come lavoratrice, le si conferisca magari un livello, come si impone agli operai, le si attribuisca una paga -sia pure simbolica- in modo che ai tanti mariti padroni (che di calcoli di riconoscenza non ne sanno fare e che meno che mai si impegnano in quelli economici) possa magari soltanto ricordare la cifra espressa in euro che un duro lavoro quotidiano sommerso frutta in termini di risparmio.
Vorrei che casalinga non stesse sui documenti d'identità come alternativa a "impiegato", "libero professionista", "studente", "disoccupato", in attesa di cedere ad essi il posto nella successiva mano fortunata del gioco delle attribuzioni.
In un mondo in cui si è dato per acquisito, con una pessima sovrapposizione ideologica, che si è ciò che si fa, in cui, cioè, si è stabilita una compenetrazione totale tra la professione esercitata e l'essenza personale: non faccio l'operaio sono operaio, non faccio l'insegnante sono un insegnante, non faccio il medico sono medico, in un mondo in cui si è realizzata la coincidenza inscindibile tra il piano fattuale accidentale a quello ontologico, sottintendendo che in ogni mestiere c'è una vocazione e che nell' esercizio del mestiere l'umano trova la realizzazione del sé,
vorrei che anche la parola "casalinga", che i più volenterosi cominciano a declinare al maschile, reclamando il ruolo per i mariti/padri con molta più forza rispetto a quella con cui si rivendicano a livello lessicale i "mestieri maschili" alle donne, esprimesse una vera e propria professione scelta per vocazione, una specifica professionalità e non corrispondesse ad un buco nero somma di mancate possibilità, una sedia occupata per caso, attendendo di fare altro.
Vorrei che nel novero di quelli che lottano per il riconoscimento dei diritti, nell'elenco delle minoranze, dei discriminati, fossimo considerate anche tutte noi, sulle quali si appunta un'etichetta, "donna di casa" -sinonimo di fallimento-, che anche i figli, quando richiesti a scuola sul mestiere della madre, fanno fatica a pronunciare.

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