mercoledì 12 maggio 2021

ganglio 25

Questo paese, ormai lo sapete, non vi apparterrà mai. Non lo capirete mai, non ci entrerete mai in sintonia, nemmeno con un grande esercizio di mistificazione.
Ogni volta che ci venite, fin dal momento in cui le ruote dell’aereo ne toccano il suolo, sentite una maschera calarvi sulla faccia. Vi spogliate di tutta la vostra socievolezza e avvertite il cambiamento. Sentite la durezza appropriarsi dei vostri lineamenti. Il mento si sposta impercettibilmente verso l’alto: che sarà? Un millimetro? Ma tanto basta a rendervi estranea a voi stessa. Il sorriso vi abbandona e al suo posto, sull’intera faccia, s’insedia un velo marmoreo di severità e di asprezza che non vi lascia indifferente. Tutt’altro. Vi pesa e tanto. Vi adeguate in serietà e diffidenza a chi vi circonda. Sorridono poco e a forza, questi di qua. Dopo qualche birra, può darsi. Se vi frequentano da anni, magari. Ancora vi sorprende che l’unica eccezione a tanta ostentazione di misantropia se la concedano e ve la concedano la domenica mattina, quando –perfetti sconosciuti- incrociandovi per strada vi omaggiano con un “buongiorno” al quale siete tentati ogni volta di rispondere con un poco ortodosso “ma vaffanculo!” come obolo per tutte le volte in cui vi hanno chiuso le porte in faccia ignorando le più “urbane” richieste di aiuto. E si, l’invito ad andare a quel paese vi sale alle labbra ripetutamente ogni volta che ci avete a che fare. Ogni giorno, a ogni interazione. Glielo gridereste quando borbottano a mezza bocca nella loro perenne insofferenza verso le infinitesime irregolarità che, pedanti, stanno sempre lì a rilevare nella condotta del prossimo. Quando, con quell’aria di primi della classe grossi di studio ma scarsi a intelligenza e senso pratico, annegano in un bicchier d’acqua, incapaci a risolversi di fronte alle banalità. Quando da una capigliatura viola o verde, da un piercing estremo, dagli occhiali dalla montatura pop, innestati su figure per il resto perfettamente allineate a uno schema di necessaria normalità, percepite che qualcosa, una pulsione alla creatività forse, ribolle sotto le coltri di una esistenza conforme ad oltranza; e no, non li invitate alla diserzione dagli schemi civili ma semplicemente a lasciarsi vivere prima ancora che lasciar vivere.
Eppure qualcosa gliela invidiate. Gli invidiate l’assenza di caos. Anche nelle ore più frenetiche o nel traffico più indolente loro hanno la calma che geneticamente, storicamente, ineluttabilmente, alle vostre latitudini non è pervenuta, perché da voi tutto è “sbattimento”, tutto danza, come invasata, a un ritmo pulsante, persino la stessa tranquillità. E gli invidiate la primavera che, in questa parte residua di mitteleuropa, rivendica con prepotenza la propria supremazia sulla natura. Una natura che dopo il letargo si risveglia ristorata e affamata dalle privazioni invernali e veramente esplode in mille fiori, in cinguettii, nel verde primaverile di giornate notevolmente più lunghe e luminose e tiepide.
Il sole della vostra finestra mansardata oggi non vi basta. Dovete uscire per strada, puntare la faccia verso quella fonte di calore. Dovete trovare un angolo dove “rubarvi” un po’ della loro pace e della loro primavera e farveli bastare per compensare la mancanza del mare che vi assilla. Percorrete Kaiser strasse, oltrepassate il Rathaus e puntate verso il castello che domina la valle. Dieci minuti di comoda inerpicata sul fianco della collina attraverso la strada –manco a dirlo- diligentemente tracciata con la solita teutonica efficienza. Intanto si è già fatta ora di pranzo e decidete per qualche pretzel. Rinunciate al supermercato, dove quotidianamente andate a consumarvi di malinconia nel reparto ortofrutticolo, davanti ai tristi scaffali fatti unicamente di insalata, pomodori, cetrioli e cavoli, che per voi, abituata a ben altro ben di Dio, declinano una efferata punizione biblica. Optate, cosa insolita, per la panetteria. Altro punto dolente dell’emigrazione, il contatto diretto negli esercizi pubblici. “Chi ten’ a lengua va in Sardegna” , vi esortava vostra madre, quando eravate bambina. In Sardegna si, ma non in Germania, evidentemente. Qui da sempre vi spogliate della preziosa faccia tosta con la quale avete conquistato altri angoli di mondo e vi calate nei panni della scolaretta scurnosa e impaurita, perennemente inibita dai rimproveri della bisbetica, severa e intransigente maestra sotto le cui grinfie avete avuto la sfortuna di capitare. E al mutismo, spiacevole opzione forzata, non potete neppure far fronte con l’universale linguaggio dei segni, a cui queste persone sembrano essere tutti completamente sordi. 
 

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