giovedì 13 maggio 2021

ganglio 32


 La maestra ci disse di portare le foglie, che l'indomani a scuola avremmo parlato dell'autunno. Percorsi la strada del ritorno mano nella mano con mamma, come sempre facevo, ma di tanto in tanto me ne staccavo per andare a catturare di corsa qualche frammento giallo al bordo del marciapiede. Non erano mai abbastanza belli, o integri o autunnali, quei resti. E poi erano sempre e solo dei noci. Ci tenevo a fare bella figura con la maestra. Mi immaginavo chissà quante e quali meraviglie avrebbero portato i miei compagni e io incapace di competere. Era una fregatura vivere nel mio quartiere, che aveva sì le campagne tutt'intorno, strappate con forza agli abusivismi edilizi da quei contadini di città, ma poche o nulle le speranze di " piante da foglia morta". Giardini di arance e di mandarini, che avrebbero profumato l'aria a primavera, di noci già tutti bacchiati e ripuliti di frutti e foglie, solo quelli abbondavano in zona: piante utili ai commerci, a sfamare, ma non di certo piantati per abbellire o ombreggiare. Gli alberi da viali ordinati e malinconici di città, di quelli nulla. Il vomero ne era invece pieno. Mi piaceva, quando mamma mi ci portava, affondare i piedi nel fogliame marrone e rinsecchito a puntino, che mi scrocchiava sotto le suole. E così convinsi mamma. Le estorsi la promessa che ci saremmo andate il pomeriggio stesso dopo i compiti, in quel quartiere che rivelava la propria signorilità persino nel dettaglio delle foglie.

Anni dopo mi ritornò in mente il fatto: questo ricordo di quando ero bambina. Stavo in Canada e tutto lì, in quella stagione, era rosso. Non potei farne a meno. Mi chinai e raccolsi le foglie più belle giocando al gioco dell'infanzia. Avrei fatto una bellissima figura, tornando indietro, con la maestra.

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