mercoledì 12 maggio 2021

ganglio 24


 Viaggio in macchina con mio marito in giro per la Germania.

Mi attacco alla bottiglia che ho tra le mani. Il retrogusto amarognolo, rimasto alla base della lingua dopo che un sapore tracotantemente dolciastro mi ha sporcato il palato, mi mette sull'avviso che non è la solita coca. Mio marito conferma: sto bevendo coca cola light.
Sono quasi obbligata a cogliere questa scintilla che dà la stura all'ennesimo ricordo dell' infanzia lontana. Mi riporta alle feste in casa, di quando ero bambina, con i parenti. Di quando tu aspettavi il gelato e la mamma, con l'aria trasognata come nella più accattivante delle pubblicità, ti porgeva invece la coviglia al caffè.
La coviglia al caffè!!
Avete presente quella crema solida, pastosa, pesante e olezzante di uova di cui nessun bambino ha mai saputo cosa farsene?
Quella crema che era quanto di più lontano c'è da un gelato, tanto che tutte le volte ti tramortiva il pensiero dell'ingenuità di tua mamma: perfino tu avevi capito che non era gelato, ma lei -santa donna!- ancora confondeva l'uno e l'altro.
Quella crema di una dolcezza che l'aggettivo stucchevole non è sufficiente a definire. Che ti causava una tale nausea, che poi , quando ti trovavano accasciato sul divano, ti prendevi una sgridata solenne con l'accusa di esserti riempito di schifezze, mentre tu stremato, non avevi avuto la forza di toccare altro, e scioccato -desiderando unicamente smalire in solitudine la sbornia di zuccheri e grassi saturi che ti si rimestavano nelle vene- non osavi replicare.
Quella crema servita in mefistofelici contenitori sui quali solo lo zio più mondano aveva la meglio, riuscendo a trasformarli con maestria, anzi con una vera magia, in coppette dopo aver inserito sul fondo il loro stesso coperchio a mo' di precarissima base.
E mi son ricordata pure che a quelle feste la ditta che si occupava del rinfresco forniva anche i bicchieri per il brindisi finale.
A distanza di anni resta il mistero -mio personale cruccio- del perché
noi, gente semplice, di periferia, lo spumante di seconda scelta non lo si potesse bere in null'altro che in quei pessimi calici di alluminio resi untuosi dalle gocce di trasudante condensa, nella sbeffeggiante illusione di stringere tra le mani i più pregiati dei Bacarat. 

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