Sulle righe finali de “La Madonna dei mandarini” di Antonella Cilento,
edizioni NN, mi sono detta: questo libro
sa di poco.
Poiché tuttavia resto estremamente polemica, anche con me stessa, mi sono predisposta immediatamente a confutare tale giudizio, dato che il racconto mi è piaciuto.
Antonella Cilento è una prolifica scrittrice napoletana, classe 1970, che vanta importanti piazzamenti: si veda tra tutti, la finale dello Strega, nel 2014, con “Lisario o il piacere infinito delle donne”.
Di suo non avevo ancora letto niente. Come ho ripetuto più volte “un lettore seriale resta prima di tutto un collezionista la cui ambizione è di arricchire la propria raccolta”, dunque dovevo colmare la lacuna.
“La madonna dei mandarini “ conta 87 pagine. Quindi, ritornando alla riflessione iniziale, la prima obiezione che mi sono opposta – la riporto così come pensata- è stata: - “neh, ma tu che volevi da 87 pagine? -
“Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore” avrebbe detto il poeta. “E infatti non mi sto lamentando per quello. I libri non si valutano un tanto al chilo”. Mi sono risposta.
La storia –che non accennerò perché è ormai nota la mia idiosincrasia per le “recensioni-sinossi”, se la volete sapere nel dettaglio accattatevi il libro- è godibilissima. Si articola in tre movimenti e un epilogo. Dall’ingresso in scena all’uscita dei personaggi dalla medesima, una piccola sinfonia in crescendo.
La scrittura è napoletanissima, se è lecito tentare una simile definizione. Tale in ragione della cadenza dialettale di sottofondo che a tratti si fa quasi parlato obbligandoti a leggere con la piacevolissima cadenza partenopea. Tale per le ambientazioni, tutte in luoghi riconoscibilissimi della città, ad eccezione della breve parentesi vacanziera siciliana nel finale. Ogni tanto, per chi come me, scorrazza in tanti libri e dunque nei disparati luoghi dove essi mi portano, una capatina “al natio borgo”, tra la propria gente, è una vera e propria passeggiata di salute.
Le storie raccontate sono del pari ben strutturate, intrecciate in maniera scorrevolissima.
Il “sapore di poco” lo lasciano, oltre alle pietanze che disattendono le aspettative per qualità , altre che lo fanno per quantità, ma solo perché se ne vorrebbe ancora. Questo è. Qui di qualità non si discute, avrei voluto solo qualche movimento in più delle vite alle quali l'autrice mi ha fatto affezionare. Ma poi ho capito di essere ancora in torto. Antonella Cilento ci ha presentato esistenze comuni, di quelle che, dopo il passaggio dello scrittore, quando si spengono i riflettori della narrazione, ritornano presumibilmente alla propria normalità. Scriverne di più sarebbe stato voyeurismo, accanimento a perdere. E allora bene così. Mettiamo pure questa " Madonna dei Mandarini" sopra il nostro devoto altarino.
Poiché tuttavia resto estremamente polemica, anche con me stessa, mi sono predisposta immediatamente a confutare tale giudizio, dato che il racconto mi è piaciuto.
Antonella Cilento è una prolifica scrittrice napoletana, classe 1970, che vanta importanti piazzamenti: si veda tra tutti, la finale dello Strega, nel 2014, con “Lisario o il piacere infinito delle donne”.
Di suo non avevo ancora letto niente. Come ho ripetuto più volte “un lettore seriale resta prima di tutto un collezionista la cui ambizione è di arricchire la propria raccolta”, dunque dovevo colmare la lacuna.
“La madonna dei mandarini “ conta 87 pagine. Quindi, ritornando alla riflessione iniziale, la prima obiezione che mi sono opposta – la riporto così come pensata- è stata: - “neh, ma tu che volevi da 87 pagine? -
“Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore” avrebbe detto il poeta. “E infatti non mi sto lamentando per quello. I libri non si valutano un tanto al chilo”. Mi sono risposta.
La storia –che non accennerò perché è ormai nota la mia idiosincrasia per le “recensioni-sinossi”, se la volete sapere nel dettaglio accattatevi il libro- è godibilissima. Si articola in tre movimenti e un epilogo. Dall’ingresso in scena all’uscita dei personaggi dalla medesima, una piccola sinfonia in crescendo.
La scrittura è napoletanissima, se è lecito tentare una simile definizione. Tale in ragione della cadenza dialettale di sottofondo che a tratti si fa quasi parlato obbligandoti a leggere con la piacevolissima cadenza partenopea. Tale per le ambientazioni, tutte in luoghi riconoscibilissimi della città, ad eccezione della breve parentesi vacanziera siciliana nel finale. Ogni tanto, per chi come me, scorrazza in tanti libri e dunque nei disparati luoghi dove essi mi portano, una capatina “al natio borgo”, tra la propria gente, è una vera e propria passeggiata di salute.
Le storie raccontate sono del pari ben strutturate, intrecciate in maniera scorrevolissima.
Il “sapore di poco” lo lasciano, oltre alle pietanze che disattendono le aspettative per qualità , altre che lo fanno per quantità, ma solo perché se ne vorrebbe ancora. Questo è. Qui di qualità non si discute, avrei voluto solo qualche movimento in più delle vite alle quali l'autrice mi ha fatto affezionare. Ma poi ho capito di essere ancora in torto. Antonella Cilento ci ha presentato esistenze comuni, di quelle che, dopo il passaggio dello scrittore, quando si spengono i riflettori della narrazione, ritornano presumibilmente alla propria normalità. Scriverne di più sarebbe stato voyeurismo, accanimento a perdere. E allora bene così. Mettiamo pure questa " Madonna dei Mandarini" sopra il nostro devoto altarino.