mercoledì 11 maggio 2016

Gomorra

Mentre siamo a metà del primo episodio, con il fiato sospeso davanti alla crudeltà di un “femminicidio” commesso a mani nude, mia figlia rompe il silenzio e chiede: - “ma secondo te, i camorristi lo guardano?” -
Parliamo di Gomorra, di cosa se no.
Ci rifletto qualche istante e poi rispondo di sì. Saranno incollati pure loro al televisore per “spottare” eventuali errori  e imprecisioni.
Mentre ci  elettrizziamo per certe scene -il filo della narrazione è rigoroso e univoco, e ti spinge dentro allo schermo-   commentando che l’unico neo  di questa storia è che da ora si ricomincerà tutti a parlare con l’accento perentorio e un po’ “fesso” alla Savastano padre, le timeline di fb e twitter si riempiono di commenti.
I più chiedono, con tono desolato, perché guardare tanta bruttezza, sottolineando  l’inopportunità dell’atto
Provo a rispondere mettendo in ordine le mie argomentazioni a sostegno della opinione opposta.
1)L’occhio è mobile e lo sguardo deve spaziare. Il paraocchi è un oggetto che   limita il cavallo, lo piega alla volontà altrui : all’uomo libero non si addice.
2)  Non so se "a rigor di canone" le serie televisive  rientrino  nella settima arte  a pieno titolo. Propenderei per il sì.  
Gomorra è una fiction. Un manufatto artistico/commerciale diretto ad una fetta di pubblico/mercato. Deve essere perciò valutata come si giudica un prodotto di quella categoria. Tenendo presente che il linguaggio ( scrittura, sceneggiatura, regia, fotografia, costumi, trucco e parucco)  deve essere sempre funzionale in modo congruente al fine ultimo dell' intrattenimento.
Gomorra rappresenta il brutto e dunque non fa bene guardarlo?
Ci sono fiction  italiane che ritraggono “il bello” così falsatamente, in maniera così fintamente ingenua,   edulcorata, direi addirittura strumentale, che finiscono per ammantarsi di una bellezza infinitamente più diseducativa della  presunta bruttezza inscenata da Gomorra. Penso, ad esempio, ad alcune puntate dell’ultima serie di “un medico in famiglia” –per dirne una-  che mi parvero addirittura mortificanti.
Che la nostra industria cinematografica si allinei, qualitativamente, agli standard raggiunti altrove è una conquista da salutare con entusiasmo.
3)Chi ha detto che il Kalos kai agatòs (bello =buono) debba calzare a tutte le espressioni artistiche?
L’arte è anche provocazione. C’è del brutto nel mondo e la rappresentazione del brutto ha uguale diritto di cittadinanza perché può avere anch'esso valore educativo.
A guardare Gomorra a me è venuto in mente “Guernica” di Picasso. Non mi direte che a prima vista evoca le medesime impressioni di “colazione sull’erba” di Monet. Eppure l’occhio deve indugiare anche sullo strazio rappresentato in Guernica. Ha bisogno anche di quella narrazione.
4) Quanto poi al discredito che Gomorra poterebbe alla città di Napoli e ai sui cittadini, il mio disaccordo è ancora maggiore.
Il compianto Pino cantava “siente fa' accussì/miette 'e creature 'o sole/pecchè hanna sapè' addò fà friddo/e addò fà cchiù calore”.
Credo che ciascun telespetattore, napoletano, italiano, europeo, abbia sufficiente buon senso da non arrivare a identificazioni totalizzanti.
Ho guardato per decenni “la signora in giallo” ma il sospetto che Cabot Cove sia un covo di assassini  irredenti -per dire- non mi ha mai sfiorato.

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