Ci sono molti libri “vecchi” a cui ripenso spesso,
rammaricandomi che non abbiano avuto il successo meritato.
“Il
cuore è idiota” di Davy Rothbart,
pubblicato nel 2014 da Baldini & Castoldi,
tradotto da Susanna Bourlot è uno di
questi.
Rothbart (11 Aprile 1971), in una maniera che non esito a definire irresistibile,
ci racconta un bel pezzo della sua vita fatto di repentini innamoramenti, alzate
di ingegno, scelte volubili.
Ogni capitolo del libro (in tutto sono 14) è un gustoso affresco di situazioni
trascinanti. La possibilità di godere di una lettura così piacevole sarebbe
di per sè puntello già sufficiente a sostegno della mia appassionata esortazione
a recuperarlo.
Tuttavia c’è anche una altra ragione più specifica che motiva il mio consiglio, la quale si riconnette strettamente alla discussione - circa le possibilità e le opportunità di pubblicazione riservate ai “ dilettanti in cerca di esordi dignitosi”- che affronto spesso con gli amici partecipi con me della passione insana per la scrittura.
Poco tempo fa, proponendo ai miei contatti di Fb un' interessante intervista a Vanni Santoni di Matteo B. Bianchi dal titolo “ESORDIRE NEGLI ANNI ’10”, apparsa qui http://matteobblog.blogspot.it/2016/05/esordire-negli-anni-10-intervista-vanni.html
Tuttavia c’è anche una altra ragione più specifica che motiva il mio consiglio, la quale si riconnette strettamente alla discussione - circa le possibilità e le opportunità di pubblicazione riservate ai “ dilettanti in cerca di esordi dignitosi”- che affronto spesso con gli amici partecipi con me della passione insana per la scrittura.
Poco tempo fa, proponendo ai miei contatti di Fb un' interessante intervista a Vanni Santoni di Matteo B. Bianchi dal titolo “ESORDIRE NEGLI ANNI ’10”, apparsa qui http://matteobblog.blogspot.it/2016/05/esordire-negli-anni-10-intervista-vanni.html
mi sono concessa il seguente sfogo :
“La scelta di auto-pubblicarsi, così come di affidarsi a piccole case editrici indipendenti è lecita e legittima. Ma un buon libro non è fatto solo dalla storia che racconta o da una buona intuizione. Dietro c'è un lavoro di editing che è fondamentale per tirare fuori dal nostro diamante un vero e proprio brillante. Non fidiamoci di chi non ci corregge la grammatica, la sintassi, di chi ci lascia in balia di noi stessi non toccando nulla, dando alle stampe la nostra creatura così come gliela abbiamo sottoposta. Molto spesso nei testi che scriviamo ci sono evidenti incongruenze, i racconti mancano di coerenza, contengono ripetizioni dovute ad un uso poco attento delle parole, la sequenza dei fatti potrebbe, infine, essere modificata allo scopo di valorizzarli meglio.
“La scelta di auto-pubblicarsi, così come di affidarsi a piccole case editrici indipendenti è lecita e legittima. Ma un buon libro non è fatto solo dalla storia che racconta o da una buona intuizione. Dietro c'è un lavoro di editing che è fondamentale per tirare fuori dal nostro diamante un vero e proprio brillante. Non fidiamoci di chi non ci corregge la grammatica, la sintassi, di chi ci lascia in balia di noi stessi non toccando nulla, dando alle stampe la nostra creatura così come gliela abbiamo sottoposta. Molto spesso nei testi che scriviamo ci sono evidenti incongruenze, i racconti mancano di coerenza, contengono ripetizioni dovute ad un uso poco attento delle parole, la sequenza dei fatti potrebbe, infine, essere modificata allo scopo di valorizzarli meglio.
Ricordiamoci che
"il peggior nemico" di uno scrittore dilettante è l'amico. Neppure
sotto tortura ci darà il dispiacere di criticare i nostri racconti. Perciò non
è a loro che dovremmo sottoporli, ne' ad un editore che si comporti come tale. Procuriamoci un editor e, se non ce lo possiamo
permettere, anche l'occhio acuto di un "lettore B” sarà un buon inizio. Altro
consiglio: non leggiamo da noi i nostri pezzi al pubblico di conoscenti, lasciamo
che ciascuno legga per sé. "Ferro mio diletto toglimi ogni difetto".
Si dice infatti che una buona stiratura possa coprire i piccoli errori del
sarto. Una lettura espressiva può mimetizzare molte imprecisioni e strafalcioni
sfuggite a colui che scrive. L'invito alla lettura del pezzo linkato era per
sottolineare che la tunue non si è sognata neppure lontanamente di pubblicare
il "manoscritto"di Funetta così come le era stato recapitato. Ha
colto il fumus e ha guidato l'autore a farne ciò che è ora sotto ai nostri
occhi: un bel romanzo, scritto bene.
Tutti noi meritiamo
un aiuto, perché tutti possiamo sbagliare. Nessuno ha il dono
dell'infallibilità, per quanto non manchi di talento.”
A un certo punto della storia la penna di Rothbart cade proprio
sul “mio argomento sensibile”. Racconta di
quando la sua casella di posta elettronica comincia ad essere bersagliata dalle
mail di un’agenzia letteraria che recluta partecipanti, naturalmente dietro il pagamento
di una tassa di iscrizione, ad un concorso letterario teso a scovare “il grande romanzo americano”.
“Era chiaro che qualcuno stesse sparando a destra e a manca migliaia di mail, strombazzando l’invito a partecipare (…) per poi rimettersi comodo ad aspettare che gli assegni affluissero copiosi. Era una idea astuta, per certi versi, forse, addirittura geniale, ma nel corso della anni ho sempre fatto una distinzione tra i trafficoni e gli artisti della truffa.(…)I trafficoni ti danno quel che vuoi a un prezzo che sei disposto a pagare; il “traffico” sta nel convincerti che vuoi quel che ti offrono. I truffatori invece abusano della tua fiducia e ti mettono nei guai. (…) Lo consideravo un insulto aggiuntivo- nessuno merita di essere raggirato, ma ci vuole un particolare tipo di crudeltà per truffare dolci, onesti, fiduciosi scrittori, soprattutto quelli che avevano lavorato abbastanza sodo da portare a termine un libro e che adesso stavano lottando per farlo uscire e farlo leggere dal pubblico.”
Il capitolo a cui Rothart affida tale riflessione si intitola “ novantanove bottiglie di pipì sul muro” e inizia così:
“ La prima volta che feci pipì in una bottiglia fu la primavera del 2006, durante un concerto folk”(…) Non capita tutti i giorni di mettere insieme un arsenale di novantanove bottiglie di pipì, e anche se non sapevo cosa potessi farne di quel tipo insolito di scorte, il mio istinto mi diceva che in qualche modo avrei trovato un utilizzo consono, magari per uno scherzo o un perfido tiro mancino.”
“Era chiaro che qualcuno stesse sparando a destra e a manca migliaia di mail, strombazzando l’invito a partecipare (…) per poi rimettersi comodo ad aspettare che gli assegni affluissero copiosi. Era una idea astuta, per certi versi, forse, addirittura geniale, ma nel corso della anni ho sempre fatto una distinzione tra i trafficoni e gli artisti della truffa.(…)I trafficoni ti danno quel che vuoi a un prezzo che sei disposto a pagare; il “traffico” sta nel convincerti che vuoi quel che ti offrono. I truffatori invece abusano della tua fiducia e ti mettono nei guai. (…) Lo consideravo un insulto aggiuntivo- nessuno merita di essere raggirato, ma ci vuole un particolare tipo di crudeltà per truffare dolci, onesti, fiduciosi scrittori, soprattutto quelli che avevano lavorato abbastanza sodo da portare a termine un libro e che adesso stavano lottando per farlo uscire e farlo leggere dal pubblico.”
Il capitolo a cui Rothart affida tale riflessione si intitola “ novantanove bottiglie di pipì sul muro” e inizia così:
“ La prima volta che feci pipì in una bottiglia fu la primavera del 2006, durante un concerto folk”(…) Non capita tutti i giorni di mettere insieme un arsenale di novantanove bottiglie di pipì, e anche se non sapevo cosa potessi farne di quel tipo insolito di scorte, il mio istinto mi diceva che in qualche modo avrei trovato un utilizzo consono, magari per uno scherzo o un perfido tiro mancino.”
Mi fermo qui, non volendo spoilerarvi nulla. Ripensate
alla mia riflessione. Connettetela a quella di Rothbart.
Se volete sapere come va a finire la cosa, non vi resta che leggere il libro!
Se volete sapere come va a finire la cosa, non vi resta che leggere il libro!