Un ganglio leggero, quello odierno. Come la felicità dei bambini all'avverarsi dei desideri, al sorprendente realizzarsi di una speranza: lieve, soave e gioiosa più di ogni altra forma di felicità: perfettamente rotonda, piena fino all'orlo.
Ma sarà veramente così? Veramente c'è una felicità senza pesi?
Il primo desiderio reale. Il primo costante, persistente, scevro dalla volatilità di un capriccio. Il primo concreto, che non è, cioè, fantasia astratta, come invece l'altro. Ce n'è infatti un secondo che mi tiene compagnia da quando apro gli occhi al mattino fino all' attimo prima di addormentarmi -perché i bambini sognano anche da svegli- ma so di quello che non potrà avverarsi mai: fare la ballerina, salire in equilibrio sulle punte come le eteree figure in tutù di "Maratona d'estate", il programma che contemplo estasiata alla TV.
Questo desiderio è, invece, fuori dalla mia testa, è di una cosa che già esiste nel mondo.
Nulla, se non il costo, si frapporrebbe tra me e lui: ne' il mio fisico sgraziato, ne' la condizione sociale, ne' impedimenti culturali. Per prima cosa mamma non mi permetterebbe mai di andare a danza per via dei miei coscioni ben nutriti, secondo poi, siamo gente che non butta i soldi per puro divertimento, in un certo superfluo troppo superfluo senza neppure un reale talento da esercitare a giustificazione.
Al centro delle mie brame c'è un fagotto azzurro, paffutello. Roseo. Punta su di me i suoi occhioni cerulei e il suo sorriso gioioso da ovunque io mi rigiri. Mi ammalia dalla vetrina del giocattolaio, dalle inserzioni pubblicitarie sulle pagine di Topolino, perfino a volte dalla TV, dagli spot che precedono i cartoni animati. La sua tenera faccina, sulla quale il sorriso è suggellato dalle deliziose fossette, rimane sempre armonica, non stona, cioè neppure quando, toltogli di bocca il ciucciotto, è scosso da un pianto sincopato, nel mezzo del quale, ad intervalli regolari invoca la mamma.
Faccio sempre in modo di distanziare mia madre durante le nostre camminate se nell'itinerario è previsto il passaggio davanti al negozio di giocattoli. Rubo la manciata di secondi che lei impiega a raggiungermi per restare con il naso incollato alla vetrina in contemplazione. È Ciccio Bello l'oggetto delle mie brame. Il figlio al quale dai miei cinque anni di altezza anelo a fare da madre.
Ci pensa la nonna a realizzare il tutto. Lei ha maggiori disponibilità economiche. Lei non teme di contrariare mio padre destinando ai regali dei nipotini sommette delle quali una famiglia giovane, monoreddito con due bimbi piccoli, sul cui bilancio gravano anche le tante giornate di sciopero in fabbrica necessarie ad avanzare giuste rivendicazioni, potrebbe fare ben più utile uso.
È il mio onomastico. Tredici giugno. La felicità dipinta sul volto della sua bambina è per nonna una assoluta priorità. Una primizia da cogliere quanto prima. Tanto che, nonostante si vada a pranzo da lei tutti i santi giorni, dunque al più tardi verso l'una saremo là, si presenta lei - evento riservato solo ai casi in cui siamo febbricitanti o mamma non si sente- di buon mattino alla porta di casa, insieme a zia.
Ma quanto è grande questo scatolone. È incartato in un foglio a righe arancione e senape su sfondo bianco, che strappo via timidamente. Resto folgorata. Il tempo di liberarlo dalla prigione di polistirolo bianca alla quale sembra inchiodato con cattiveria e lo stringerò a me per sempre.
Vorrei restare a casa, per potermi trastullare nel gioco tutto il giorno. Ma nonna freme. È ora di transumare da lei per il pranzo. Con il suo fare sbrigativo da mandriana ci spinge ad uscire e ci dirige. Mi avventuro con in braccio il mio regalo. Durante il lungo tragitto non cedo alle proposte di alleviarmi. Me lo porto con amore, con devozione, stretto al cuore. È solo all'arrivo, quando, premurosa lo adagio sulla sedia, che percepisco la stanchezza delle braccia, completamente intorpidite. Per la prima volta capisco, per averlo tastato in questo giorno, quando sia pesante portare i propri desideri in giro per il mondo.
mercoledì 12 maggio 2021
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