giovedì 13 maggio 2021

ganglio 27

Ciascuno combatte contro i demoni suoi. Fortunati quelli che hanno una sola bestia da tenere a bada. Io ne ho parecchie di creature fameliche che provano piacere nel dilaniarmi. Sono il domatore di uno di quei circhi di terza categoria nei quali tutto è stantio: il tendone, gli attrezzi, le maestranze, il pubblico pagante, ma soprattutto le fiere in gabbia. Si muovono indolenti allo schiocco cadenzato e stancamente minaccioso della frusta che pretende di imporre disciplina. Essi sono, invece, animali che allenano la resistente animalità lisciando il pelo, sornioni, all'anarchia che perennemente ruggisce loro dentro, disciplinata solo per facciata.
Vagano stanchi, desolati, ombre di sé stessi, divorati dalla vecchiaia, dall'usura, dall'abitudine. Piegati dalla noia, dalla mancanza di aspettative, dalla cattività in cui consumano i giorni, eppure mai definitivamente mansueti. Pericolosi, dunque, perché la condizione a cui si sono piegati ma non rassegnati è una passività che concede loro il rimugino del detenuto, che accumula rancore, che cova il sogno della zampata mortale al domatore. Eccole, le mie bestie scendere nell'arena e esibirsi nei loro collaudati numeri da baraccone: alla postazione numero uno ammiriamo la mancanza di autostima. Alla due, signore e signori, la sfiducia!
Alla tre, un bell' applauso all'autosabotaggio.
Al vostro addestratore più che gli apprezzamenti danno soddisfazione le critiche. Quelle vado cercando. Mi piacerebbe avere disistimatori sinceri. Valutatori che, per le quattro parole alle quali impongo improbabili numeri di equilibrismo su carta, giudicando senza peli sulla lingua, mi spiegassero: "guarda che non ti si può reggere per questo, questo e questo. Hai sbagliato e sbagli così, così e così". E invece tra la pietà e il rispetto dei miei sentimenti prorompono in lodi di maniera e silenzi eloquenti. Allora tocca fare tutto a me, anche stroncarmi.
È parecchio che non riesco a mettere su un decente consiglio di lettura. È successo che una collega, qualche mese fa, si è sfogata sul suo social contro una recensione riguardo ad un autore sul conto del quale lei è ferratissima per approfonditi studi e ricerche. Rilevando molte imprecisioni nel pezzo, si rammaricava che "la pazziella fosse finita in mano alle creature" e rivendicava il diritto alla scrittura ( giustamente) per quelli "più studiati" e di contro l'obbligo del silenzio per i pressappochisti. Le sue parole mi hanno colpito. Avrei potuto essere io l'autrice del testo "all'acquadirosità" incriminato, che mi era -nella mia lacunosa preparazione- pure piaciuto. Mi sono presa scuorno e da allora la mia penna si è zittita.
Il salto carpiato indietro rovesciato dell'autostima, coefficiente di difficoltà altissimo, ha "dato il la " alla sfiducia. Motivatissima, si è imposta, impedendomi ulteriori passi falsi.
"Vuoi propri scrivere?"- Mi ha chiesto. "Concentrati su ciò che conosci meglio. Ripassa i tuoi gangli e trasformali in parole".
Nel bel mezzo dell'esibizione una cara amica mi ha recapitato un complimento. Una carezza lieve, che mi ha fatto un gran piacere ma ha pure ridestato la terza delle mie brutte bestie: l'autosabotaggio. Mi frulla in testa il desiderio di correre verso le vie di fuga, spingere il maniglione antipanico sul retro del tendone e da cattivo domatore, domato dalla sua fiera migliore, darmela a gambe come conviene ad un consumato impostore.
 

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