mercoledì 12 maggio 2021

ganglio 5

I gangli sono come le ciliegie. Uno tira l'altro e soprattutto alcuni sono di un incredibile vermiglio.
Oggi tocca, per l'appunto, al primo tra i gangli di colore rosso, quello intitolato: "Aspettative", ovvero, "Essere all'altezza, mai".
Ho una certa difficoltà nel principiare il racconto, per via di un dubbio in cui mi arrovello.
Se ad una bimba arriva il menarca a 10 anni, si dirà che è precoce. Ma precoce chi? La bambina o il menarca? La bambina, che per via dell'ospite, di lì in poi frequentatore assiduo ma sempiternamente indesiderato, è declassata al rango di adulta? O quel visitatore così intimo e tuttavia perenne estraneo, il cui abbandono, è foriero di un passaggio ancora più sgomento: dall'età matura all'inizio di vecchiaia? Oppure entrambi. Lei, quasi fosse un'esagitata che non vede l'ora di bruciare tappe. Lui, un cavallo imbizzarrito che rompe i canapi in estremo anticipo per fregare il Dio del tempo. In ogni caso l'aggettivo precoce si porta appresso il tanfo della colpa, anche se di colpe, chiunque se lo becchi, non ne ha.
La smetto -giuro- di menar il can per l'aia e procedo verso il dunque.
Il cuore della storia è che, quando all'età di 10 anni, il giorno esatto del mio compleanno, il barone rosso fece capolino nelle mie mutande, avevo esattamente la medesima altezza da cui tuttora svetto.
Nel pomeriggio del 30 Giugno 1978, quando, messo in pausa il gioco, sgattaiolai in bagno per la pipì lasciando l'amichetta nel cortile ad attendermi, e lì mi sorpresero le prime mestruazioni, misuravo, infatti, un metro e cinquantacinque.
La vox popoli -in quegli anni fonte di sapere autorevole quanto Wikipedia- al capitolo "crescita e adolescenza" del manuale per il perfetto genitore codificava che, con lo sviluppo, il soggetto cominciasse a "sfilare", ovvero smagrisse per allungarsi fino a raggiungere la dimensione di un adulto.
Lascio alla vostra fervida immaginazione -o ai ricordi personali- determinare il grado di trepidazione con cui una generica madre si predispone alla trasformazione. Io mi limiterò a descrivere il livello di frenesia con cui la mia, di madre, attese il compiersi del miracolo.
Nell' allestire il guardaroba minimo invernale, in settembre, ogni singolo capo d'abbigliamento, ivi compreso il grembiule per la scuola, fu scelto "a crescenza". In attesa che la natura facesse il suo corso, mi aggiudicai cappotto, gonne, camicie e pullover di due taglie più grandi. Mamma me li adattava ripiegando più volte le maniche o, nel caso delle gonne, con lo stratagemma della doppia piega, ricavando cioè un orlo finto da scucire alla bisogna. Nella transizione da anatroccola in una cigna, mi è toccato scontare un paio d'anni in uno stadio clownesco.
Poi finalmente, un bel giorno...
Poi finalmente un bel giorno, credo che al quel punto fossi già in terza media, dovendo rinnovare sia il grembiule che il cappotto, ci fu l'amara presa di coscienza. Il velo, che ottundeva i sensi di mia madre, rimase impigliato da qualche parte nei nostri lunghi giri di compere e lei mi vide per la prima volta. Incalzata dalla commessa a non pensare al futuro quanto piuttosto ad assecondare il presente, dopo una lunga altalena tra il prova l'uno ora di nuovo l'altro, riprova la taglia minore ora quella maggiore, constatato che con un indumento della misura giusta fossi decisamente più graziosa, si piegò alla triste sorte.
Così, mentre io continuavo a vivere una vita da alta normale, non capendo il nodo del problema, mia madre cominciò a predisporre per me una vita da bassa, approntando una serie di accorgimenti per slanciarmi la figura, primo dei quali, naturalmente "il poco di tacchetto" dal quale non ero autorizzata a prescindere mai. Eppure l'evoluzione verso un crespo indomabile dei miei capelli, in atto già da qualche tempo, che le aveva creato un certo disappunto visto che con il liscio sarei stata più fine, avrebbe dovuto insospettirla circa un probabile infelice epilogo del film che si stava proiettando.
Messa da parte la disperazione, il macero della delusione, mamma decise di passare poi all'azione. Scoprii allora l'esistenza, nell'ordine, dell'endocrinologia, della genetica, dei percentili e del baccalà. Si, proprio del baccalà. Dopo aver stabilito che la bassezza fosse eredità genetica paterna, sollevando mamma dall'incriminazione, finimmo, infatti, "a pesci fetienti". Nelle sue multiformi e variegate declinazioni, dal coronello al mussillo, lo stock venne introdotto a massicce dosi nella mia dieta dietro prescrizione di uno degli endocrinologi all'avanguardia da cui fui fatta visitare, il quale si disse certo del successo della cura, confortato dall'evidenza che i popoli scandinavi, forti consumatori, fossero tra i più alti d'europa.
Il ganglio delle aspettative, nonostante la mia bassezza per me non abbia mai rappresentato un un problema, è nato rosso e rosso deve restare. E' stata la cappa agitata davanti al toro per infastidire. Ora è la bandiera piantata alla fine della scalata. La scalata alla conquista di mia madre, fatta a pieni nudi, con "il poco di tacco" abbandonato a metà strada. 
 

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