mercoledì 12 maggio 2021

ganglio 13


 Chi di voi si ricorda di quando, a bordo delle fiammanti "proletarissime” utilitarie, le famiglie italiane tentavano i primi viaggi di piacere attraverso il bel paese?

Rammenterete pure le allegre strombazzate che si scambiavano gli automobilisti con la targa della stessa città incrociandosi in autostrada. Tanto più si era lontani da casa tanto più lunga e festosa era la suonata di clacson. Un segno di riconoscimento, una manifestazione di reciproca appartenenza, un momento di agnizione potente, da commedia all'italiana.
Molti anni dopo, quando ci eravamo tutti -da nord a sud- sprovincializzati e di fenomeni del genere sulle autostrade se n' era persa la memoria, mio marito e io prendemmo a viaggiare -non propriamente per piacere- fuori dall'Italia.
Cominciammo allora a collezionare una serie di incontri negli angoli più disparati della terra che avevano, in un certo qual modo, il medesimo sapore delle antiche strombazzate.
Si trattava di anziani emigranti napoletani, partiti decenni avanti, mai più tornati in patria, i quali non appena si accorgevano dal nostro accento che eravamo compaesani, attaccavano bottone.
Di solito esordivano con: - “Ma voi siete Italiani?” –
Una domanda retorica, chiaramente. Inequivocabile il tono che cominciava interrogativo per poi convertirsi, a metà della frase, in una esclamazione.
Così fu ad esempio per l’attempato signore che ci si avvicinò, era il 1987, in un bar di San Francisco. Capimmo subito quali fossero le sue intenzioni. Ormai esperti, ci bastavano pochi movimenti al tavolo vicino per riconoscervi la tattica di approccio.
Scoperta la coincidenza duplice, che non solo fossimo napoletani, ma che venivamo dal quartiere prossimo al suo, -noi soccavesi, lui di Fuorigrotta- il signore si lanciò in un lungo elenco di nomi, pregandoci di portare a tutti i suoi più cari saluti. Promettemmo, naturalmente mentendo, che avremmo assolto all’impegno preso.
L’incontro straordinario, tuttavia, si realizzò anni dopo, durante un turno di emigrazione in Inghilterra.
Eravamo alloggiati in un Bed and breakfast gestito da una canuta arzilla vecchietta, devota alla regina madre e grande appassionata di cricket: Miss Telma.
Poiché possedevamo una sola macchina, al mattino io accompagnavo mio marito al lavoro e poi, in attesa che si facesse l’ora di riprenderlo, me ne andavo scorrazzando per le campagne inglesi. Dopo aver scelto un paese, un villaggio, una cittadina nelle vicinanze, mi mettevo in viaggio.
In genere rincasavo da Miss Telma a metà pomeriggio. Un saluto, due chiacchiere nel mio allora stentatissimo inglese, una tazza di tè ed ero pronta per uscire a recuperare il consorte.
Quel giorno mi spinsi un po’ oltre i confini consueti, fino a Peterborough, la più importante città del circondario. Al ritorno, anziché prendere l’autostrada optai per la strada statale. Mi piaceva molto guidare attraverso il verde paesaggio e i villaggi inglesi. Era rilassante.
Tornata a casa, mi ritirai in camera per una breve rinfrescata. Non feci neppure in tempo ad infilarmi in bagno che fui interrotta dalla voce di Miss Telma al di là della porta. Un signore, poco dopo il mio rientro, pare, si fosse presentato all'uscio chiedendo di me e ora era in salotto, di sotto, che mi aspettava.
Mentre scendevo i pochi i gradini, mi lambiccai il cervello chiedendomi chi mai potesse essere costui. Vederlo di persona, dinanzi a me, non fu di minimo aiuto per svelare il mistero. Di media altezza, baffi neri, mezza età, per quanto mi sforzassi a scavare nella memoria, ero certa di non conoscerlo. Difronte all'evidente mia confusione, sorridendo si affrettò a fare le presentazioni e a spiegare la ragione della sua presenza. Si chiamava Peppe, erano un emigrante napoletano trapiantato da decenni a Peterborough. Guidava il furgoncino dei gelati; avete presente quei camioncini che vanno di villaggio in villaggio, con la musica a tutto volume, a vendere gelati ai bambini? Proprio uno di quelli. Il buon Peppe, gelataio itinerante, dichiarò che non gli era parso vero, quel pomeriggio, incrociare una macchina targata NA sul il suo percorso. Preso dall'entusiasmo e spinto dalla struggente nostalgia ad avere notizie della sua città natale, aveva deciso di lasciare i bambini a secco e s’era messo a seguirmi. Roba da matti. E non mi riferisco a Peppe.
Avevo guidato per mezzo Regno Unito con un camioncino strombazzante alle calcagna senza accorgermi di nulla.
📌🚐🍦.: il tredicesimo ganglio non è, come i precedenti, un inedito. Fa parte della rosa di aneddoti familiari messi nero su bianco nel corso degli anni, ai quali tengo particolarmente. Per tale ragione non solo l'ho recuperato e inserito nella raccolta, ma lo corredo di due foto. In entrambe è ritratto il protagonista della mia storia a distanza di ben quarant'anni.
Qualche tempo fa, mi scrive, a mezzo chat privata, mia figlia allegando il seguente link https://owlmylove.tumblr.com/.../mymodernmet-man-tracks...
Tra tutti i soggetti recuperati dall'autore del progetto fotografico, aveva riconosciuto, rifacendosi al mio racconto, Peppe.
Il mito dimostra che non tutti i gangli restano delle astrazioni della mia memoria. Qualcuno, sorprendentemente, è già concreto prima di essere incastrato in una narrazione. 

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