Il ganglio di stamane è di quelli piccoli, ma dolorosi. Dolorosissimi.
Uno di quelli che causa un'intensità di pena pari solo alla pulpite del premolare cariato irreparabilmente. Devitalizzare sarebbe un'opzione priva di frutti. Bisogna cavarlo fuori dalla gengiva, anche se la lingua continuerà ad aggirarsi intorno al buco. Giocherà avvitandosi, ancora e ancora, nei pressi del dente fantasma. Anche qualora un suo sostituto fittizzio, piantato lì dal dentista, ne dovesse poi assumere putativamente il ruolo.
Sarò brutale nell'estrazione. Se lo merita. Merita che lo faccia senza anestesia. Che mi faccia del male per tenere il poloso della situazione. Per rimanere al comando in solitaria. Per ricordarmi quando ho sentito il concetto di amicizia sfaldarsi, sciogliersi come sagoma di sabbia tra le dita. Quando ho deciso di tenermi il cuore stretto nel petto senza prestarlo mai più ad altri.
Ho diciannove anni. Forse venti. Sono negli anni dell'università. Sono già fidanzata con il ragazzo che diventerà mio marito. Lui lavora in un' altra città. Torna il venerdì per ripartire la domenica sera. Una pausa temporale che mi fa benissimo. Sospendere il mio studio matto e disperatissimo è necessario. Spesso ci inventiamo passatempi. A questo giro, con gli amici comuni, si è pianificata una gita. Eternamente distratta, incurante degli orari, della geografia, non chiedo dettagli. Mi viene impartito, però, un unico "comando", esplicito, corale, dalle amiche del cuore. Non una raccomandazione. Proprio un imperativo. "Vestiti elegante".
Nessun problema. Siamo nel cuore degli anni ottanta. Forse non posseggo che un unico paio di jeans e forse nemmeno un paio di scarpe da ginnastica. Dunque sono ben contenta di rimanere nel mio territorio abituale.
Alla citofonata, pronta e già in attesa, scendo. Ci sono tutti, distribuiti ai lati dell'ingresso a fare arco alla mia passerella. Non vogliono perdersi la mia faccia quando sarà svelato lo scherzo. Si va in montagna a scampagnare. Sono tutti in tenuta casual. Mi hanno preso in giro.
Tralascio e perdono l'ingenuità del mio ragazzo, che ancora oggi non sa bene decifrare molte delle ragioni sottese alle peggiori condotte umane.
Per anni ho cercato di sciogliere il nodo della soddisfazione che "le mie amiche del cuore" godettero in quel momento.
Ho sopportato altri inganni successivi solo in virtù di questo primo, che mi a iniziò alla pratica della diffidenza.
Archiviando la delusione sotto una scorza che si era già fatta duretta, scelsi di graziare l'amicizia quando il mio alter ego -ci era piaciuta la definizione- mi rivelò una relazione stabile di un anno con un tizio. Tradotto significava che, ogni giorno, terminata la sessione di studio -preparavamo insieme gli esami universitari- lei si incontrava con il tipo, ci amoreggiava, pianificava, caso mai, un futuro insieme, e la mattina dopo si presentava davanti alla mia porta perseverando nel silenzio. Ognuno ha diritto alla privacy. Nascondiamo cose anche a noi stessi, figurarsi agli amici. Nessun problema.
Ci fu anche un secondo gesto di grazia. Anni dopo, sempre "alter ego", quando le condivisi la notizia che avevamo deciso, il mio ragazzo ed io, di sposarci, con una improbabile battuta di spirito, se ne uscì che sarebbe stata felice di occuparsi, a tempo debito, del divorzio. Incassai di nuovo con disinvoltura, rifugiandomi nel ricordo del primo colpo basso per ricordarmene il sapore.
Il ganglio "del vestiti elegante", è esempio di cattiveria pura, di conti in sospeso non risolti. Ammantato di casualità, frivolezza, incartato con cura in un involucro di falsità, conteneva nella sua spudoratezza e nella sua apparente castità, già tutti gli ingredienti del distacco. Non esiste il diritto codificato a ferire gli altri. Quella zampata fu inferta con coscienza e scienza.
Fu la più candida, melliflua, insospettabile dichiarazione precisa ed esplicita di insofferenza verso mio modo di essere. Ci si veste per rappresentare sé stessi. Mi sono espressa sempre anche indossando cose che fossero "me". Attenzione al bello, alla qualità, originalità: la mia filosofia. Ero indigesta, evidentemente. Camminavo con un bersaglio ben in vista sulla schiena, sul quale le mia amiche, alla prima occasione, insospettabilmente decisero di far fuoco.
Una risata seppellisce tutto? Dipende da cosa si intende seppellire.
mercoledì 12 maggio 2021
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