Secondo il progetto al decimo posto ci sarebbe dovuto essere un ganglio d'oro. D'oro come l'anellino a serpentello con l'occhio di rubino che, per il quinto compleanno, mi regalò mia nonna materna e che io ho passato ad una delle mie figlie, la quale ne ha fatto uno chavallier che ancora porta giornalmente con dedizione. D'oro come i piccoli gioiellini che la befana mi faceva trovare nel tallone della calza ogni anno, arricchendo la mia collezione. D'oro come tutti gli "ogettini" ( mia madre li chiamava così) che mi arrivarono dai parenti per la prima comunione. Per gestirli con rigore, evitando di tralasciarne qualcuno, ricordo che compilai un calendario, affisso alla porta del mio comparto di mobile, in cui specificavo giorno per giorno quali indossare.
Secondo il piano, il decimo ganglio doveva indagare le origini della smodata passione per gli anelli, per i bracciali e collane da cui fui precocemente avvinta, e che, anziché scemare con gli anni, anziché deviare verso una maggiore sobrietà, si spinge sempre più verso inesplorate soglie di sovrabbondanza, a ricercare la similitudine con una Madonna dell'Arco in processione decorata al peggio.
Invece devio e il decimo ganglio diventa quello Arlecchino, in omaggio a quella mamma che all'opre di cucito intenta, per rimediare alla scarsità di mezzi e all'imbarazzante normalità del figlio, gli confezionò addosso un abito che fece di lui una leggenda. E chissà che il ganglio d'oro e quello Arlecchino non siano uniti e circolarmente connessi.
- Quando sei nata sembravi una scimmietta. Bella non lo sei stata mai. Eppure ti vestivo e ti aggiustavo come una bambola, tanto che ovunque andassi la gente si complimentava".-
Incipit folgorante del capitolo primo delle lezioni di autostima firmate da mia madre. Mi tocca salomonicamente non serbarle rancore se voglio l'assoluzione per il medesimo peccato perpetrato successivamente ai danni della mia prole. Mi tocca contestualizzare, psicanalizzare, perdonare per costruirmi una via di fuga e sperare a mia volta nella magnanimità delle mie figlie. Si cresce per imitazione o contrapposizione. Purtroppo per lungo tempo, su questo argomento - bellezza-costruzione della percezione e stima del sè- nello schema educativo ho seguito le orme di mia madre.
Ho avuto in sorte una delle poche mamme al mondo realiste. Una che:"lo scarrafone è scarrafone sempre, pure quello mio". Non è rimasta con le mani in mano, però. Ha lavorato su di me come uno scultore sul marmo. Sarà per quello che ho sviluppato un occhio, quello con cui guardo me stessa, appunto marmoreo. Un occhio rigidissimo, incapace di percepire gradazioni, profondità, dimensioni. Un occhio che non mi dà tregua, che mi giudica più che vedermi. Un occhio per il quale, non importa il peso dichiarato dalla bilancia, dice che sono grassa e disarmonica, per il quale, non importa ciò che rimanda lo specchio, impone di accontentarsi e soddisfatto non si dichiara mai.
Non ho potuto indossare i pantaloni se non dopo essere andata via di casa. Non c'era un solo modello che mi donasse. Non ho praticato nessuno sport perché l'idea di mettermi a confronto con le altre bambine, di doversi confrontare con le altre madri, che mi distinguessi solo per le mie forme rotondette, metteva a disagio mia madre. Per la legge della genetica similitudine delle matrioske esporre il mio corpo significava esporre il suo. Svelare i mie difetti equivaleva a svelare i suoi. Sottoporre la mia malagrazia al giudizio altrui era sottoporsi al giudizio altrui.
Allora ha fatto del "coprirmi" la sua missione. Vestirmi, cucendomi addosso abiti che dissimulassero la mia grassezza e mi slanciassero, regalandomi per un gioco ottico i centimetri di altezza di cui la natura è stata parca, divenne per mia madre un virtuosismo nel quale sublimare le sue frustrazioni. Come la madre di Arlecchino, dunque.
Stessa intransigenza del suo canone estetico anche per la pettinatura.
Non ho mai portato, fino alla ribellione adolescenziale e se non per pochissimi anni, i capelli lunghi. Radi, grassi, con forfora. Inabili e inadatti nella prima infanzia, complice un viso paffuto che chiamava un taglio corto, dovevano essere rigorosamente alla maschietto. Crespi come un pagliaio indomabile nel post adolescenza, imposero più tardi il mezzotaglio attuale. Mai potei avere treccia, codini, coda di cavallo. E ditemi cosa ne è di una bambina che non ha mai goduto di una treccia o codini o coda di cavallo?
Diventa una bambina che sceglierà di essere Arlecchino per tutta la vita. Una bambina perennemente in maschera. Un unica deroga all'iconografia classica: l'aggiunta di abbondanti gioielli.
mercoledì 12 maggio 2021
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