martedì 19 aprile 2016

Lettera a D. (Storia di un amore) di Andrè Gorz


Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quaranta chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie.”
Comincia così una delle più folgoranti epistole d’amore della letteratura mondiale: “Lettera a D. – Storia di un amore” di Andrè Gorz , terminata il 6 giugno del 2006 e pubblicata in Italia nel 2008 da Sellerio, traduzione e cura di Maruzza Loria, prefazione di Adriano Sofri.
Andrè Gorz è stato –detta in maniera molto sintetica- uno dei più grandi filosofi francesi contemporanei, a lungo direttore della rivista di Sartre “Le temps modernes” e fondatore a sua volta del settimanale “Nouvel observateur”.
Della scoperta di questo libricino sono debitrice alle solite “consigliere” di fiducia le quali, corrucciate da quella che io sento ora come una colpevole “lacuna”, mi hanno suggerito, in maniera insolitamente ferma, di colmarla.
“Lettera a D.” nasce dalla necessità –in questi termini si esprime l’autore- di ricostruire la storia d’amore con la moglie Dorine per coglierne tutto il senso. “E’ lei –sostiene- che ci ha permesso  di diventare quello che siamo, l’uno attraverso l’altra e l’una per l’altro.”
Come accennato  le 78 pagine della lettera sono vergate nel 2006. Un anno dopo circa, nel settembre del 2007, Andrè, 84 anni, e Dorine, 83, si suicideranno con un’iniezione letale, nell’ estrema, ferma volontà di “trascorrere insieme” –come avevano sempre sperato- “la seconda vita”.
Ci sono momenti dell’esistenza in cui non abbiamo altra scelta se non cavalcare i sentimenti, assecondare l’emotività sedimentata sul fondo dell’animo che -quasi volessimo schernirci- classifichiamo adolescenziale e puntare su libri che soddisfino il nostro lato romantico. Vivo uno di questi periodi e con il desiderio descritto sono affondata nella lettura. La bellezza del testo, il contenuto nonché l’epilogo tragico mi hanno conquistato.
Sebbene Gorz non riesca a tenere totalmente a bada la propria personalità e inciampi nella inveterata abitudine di narrare in primis se stesso e le proprie idee filosofiche, indulgendo in quelle che altrove aveva già etichettato come “dissertazioni spocchiose sull’amore e il matrimonio”, attraverso il ricordo ad esempio della propria iniziale riluttanza verso la borghese istituzione matrimoniale o l’identificazione dell’amore “nella reciproca fascinazione di due soggetti per quello che hanno di meno dicibile, di meno socializzabile, di refrattario ai ruoli e alle immagini di se stessi che la società impone loro, alle appartenenze culturali”, non tradisce mai l’annunciata intenzione di pagare il proprio debito alla donna della sua vita. La realizza componendo un ritratto della moglie tanto vivido e caldo da farcene innamorare, tanto amorevole  e appassionato da generare in  noi il rimpianto di non averla incrociata almeno una volta nella vita. Inevitabile subire il fascino di Dorine, a cui le difficoltà mettevano le ali, libera e consapevole, se stessa in tutto quello che faceva. Ammirare la forza di carattere della persona che non ha avuto bisogno di scienze cognitive per sapere che senza intuizioni ne’ affetti non c’è intelligenza ne’ significato, che si è rifiutata di seguire la moda, che fin dall’età di sette anni è giunta alla conclusione che, per essere vero, l’amore deve disprezzare il denaro. 
Cosa altro si può aggiungere riguardo a una confessione d’immutato o rinato desiderio per l’amata espressa con la delicata intensità che carica e connota le parole di Gorz? Nulla di più che un vivo invito alla lettura. 




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