domenica 16 ottobre 2016
"Zona Uno" di Colson Whitehead
martedì 4 ottobre 2016
"La vita davanti a sè". Emile Ajar e Romain Gary ovvero storie di pseudonimi ed eteronimi letterari
Non scrivo di tutti i libri che leggo.
Alcuni li chiudo a doppia mandata nel cuore in silenzio, perchè dopo averli terminati è in silenzio che ci rimugino sopra per giorni.
La brutta -lasciatemelo dire- storia di bracconaggio ai danni di Elena Ferrane -della quale rispetto profondamente il desiderio di anonimato- consumata qualche tempo fa passando in rassegna i conti bancari di alcuni autori, mi ha portato alla memoria la vicenda di Emile Ajar , della sua vera identità e del suo piccolo capolavoro " La vita davanti a sè", edito in Italia nel 2009 da Neri Pozza per la traduzione di Giovanni Bagliolo.
In breve la vicenda personale: storia di pseudonimi, eteronimi e della capacità della letteratura di creare narrazioni che sembrano autofiction ma sono il frutto unicamente del talento creativo che le è proprio: Emile Ajar, autore di ben quattro libri, è in realtà Romain Gary. La Francia scopre tale circostanza qualche tempo dopo il suicidio di Gary, il quale, dopo aver indossato, in segno di rispetto per i soccorritori, una vestaglia rossa affinchè il sangue non si notasse, si sparò alla testa, precisando, in un ultimo messaggio, che il suo suicidio non era in relazione con quello della ex moglie Jean Seberg, avvenuto un anno prima.
Con i due nomi Gary e Ajar -che significano rispettivamente "brucia" e "brace" in russo- è stato l'unico autore capace di bissare il premio Gouncourt, con Le radici del cielo e La vita davanti a sé .
In breve il libro: il protagonista della storia è Momo, un bambino di fede musulmana allevato da Madame Rosa, ex prostituta sfuggita ad Auschwitz, in un appartamento di Belleville , Parigi. La vita di Momo è come quella di tanti altri "ultimi", simile a quella di molti altri bambini, ad esempio, immigrati ai nostri giorni in Europa senza famiglia e destinati a crescere sperimentando il volto più crudo dell'esistenza.
Il registro che usa Emile Ajar è di una narrazione struggente e poetica. Il linguaggio, per nulla forbito, si assesta su un gergale al limite del rozzo totalmente appropriato, mai in ogni caso gratuitamente triviale o irrispettoso verso il lettore . Il libro è tutto un susseguirsi di massime di saggezza crude ma di un'acume che lascia senza parole. Il più perspicace, profondo -in una parola- immenso tra tutti i personaggi è Momo, a cui una sensibilità e un'intelligenza precocissime consentono di comprendere verità che ad altri esseri umani sfuggono persino alla fine dell' intero percorso sulla terra.
Momo ad un certo punto dirà :-" Una cosa che mi è sempre sembrata strana è che le lacrime sono state previste nel programma. Vuol dire che era previsto che noi piangessimo. Bisognava pensarci. Un costruttore che si rispetti non avrebbe mai fatto una cosa simile".
E allora pensateci: leggete questo libro e sappiate che il suggeritore -che sarei io- ha previsto le lacrime, ma anche tanti sorrisi.
domenica 2 ottobre 2016
Le variazioni del dolore di James Rhodes

Mi ero riproposta di riparlarne appena fossi tornata alla "civiltà", ma presa dal vortice del ritorno alla vita, ho finito per scordarmi del proponimento, fino a quando, in una mattina di fine settembre, calda e soleggiata, mentre spulcio tra i titoli esposti sulla bancarella del mitico mercatino di Antignano ( Vomero-Napoli), mi trovo il libro tra le mani. Trasalisco, stupita che, tra tutti quei best seller a 5€ ai quali puntano i clienti, ci sia anche Rhodes, in compagnia di un'altra decina di volumi meritevoli di attenzione che del pari rimangono nell'angolo negletti. Magris, Moehringer, Wo Ming, Whitehead. A quel prezzo, nuovi di zecca, me li porterei tutti a casa, ma devo desistere, con il cuore spezzato.
Perchè ci sono libri di cui nessuno parla? che hanno una vita difficile? destinati al macero piuttosto che agli onori ?
Eccomi allora qui, a consigliarvi di leggere "Le variazioni del dolore".
Di sè l'autore scrive:-"Io sono molte cose. Sono un musicista, un uomo, un padre, uno stronzo, un bugiardo e un impostore. Soprattutto, sono una persona che vive nella vergogna".
Leggendo il libro si tocca con mano che Rhodes è tutto ciò che dice di essere ma soprattutto una persona che non vuole più mentire su sè stesso, che sente l'esigenza di svelarsi, raccontando al mondo la storia del bambino abusato che è stato.
Nell'epigrafe sono riportate le parole di Phil Klay, veterano dei mairnes: " Se eleviamo il trauma a feticcio, i sopravvissuti sono in trappola, incapaci di sentirsi conosciuti davvero...Non si rende onore alla persona dicendogli:" Non riesco prorio ad immaginare quello che hai passato". Ascoltate invece la sua storia e provate a mettervi nei suoi panni per quanto duro e scomodo possa essere."
Questo è l'invito che sento di rivolgere a molte categorie di persone.
Agli amanti delle buone letture: nonostante il terribile tema trattato, la narrazione di Rhodes non è mai brutale, disturbante o respingente.
Agli amanti della musica: Rhodes attribuisce potere taumaturgico alle note. Ad esse riconosce il merito della propria rinascita . Tra le pagine del libro trova il modo di esternare quindi la propria gratitudine verso la musica classica, raccontando dei brani e dei musicisti a cui è più legato con toni estremamenti coinvolgenti.
A tutti i genitori, ai nonni, agli insegnanti, a tutti coloro che vivono accanto ai bimbi: nessuno è preparato ad una terribile eventualità del genere. Ma è bene imparare a riconoscere i segni di una violenza subita.
"Non vorrei scrivere di certe cose. Non vorrei affrontare l'inevitabile senso di vergogna che si portano dietro (...) ma neanche mi va di tacere, o peggo ancora di credere che dovrei tacere, quando la nostra cultura (...) continua a permettere, avallare, favorire e sguazzare nell'abuso sessuali sui minori". Così scrive Rhodes per il quale il suo romanzo è uno dei tanti stumenti utili per spezzare il ciclo degli abusi.
Bel libro, ben scritto. Vale la pena, credetemi.
mercoledì 28 settembre 2016
Eccomi di Jonathan Safran Foer
Il 29 Agosto è arrivato in libreria, edito da Guanda "Eccomi" di Jonathan Safran Foer, tradotto da Irene Abigail Piccinini.
Un appuntamento che non potevo disertare, avendo tanto apprezzato "Molto forte incredibilmente vicino" . Ho letto il nuovo romanzo tutto d'un fiato, in appena una settimana, ma ho dovuto frapporre qualche giorno e un paio di altri libri prima di scriverne. Dovevo rifletterci su meglio, verificare se con il tempo avrei domato la vocina impertinente che a metà lettura aveva esclamato:- "questo è il miglior romanzo di Franzen dell'ultimo periodo, altro che Purity!" Battuta a parte, messo in conto che ogni romanzo ha con gli altri dello stesso autore un rapporto simile a quello tra fratelli, i quali pur condividendo il patrimonio genetico hanno autonome personalità, e che " Eccomi" non potesse, ne' dovesse replicare " Molto forte e incredibilmente vicino", non mi aspettavo un cambiamento così deciso. Mi hanno sorpresa i maceramenti di coppia introspettivi -anche troppo- e gli interni familiari di normalità "disfunzionali" alla Franzen che lontani dal mondo di Franzen, però, non funzionano altrettanto bene.
"Eccomi" è la storia di Jacob, un autore di fiction alle prese con la ridefinizione di sé nella dimensione di single e padre separato, ma soprattutto dei termini della propria appartenenza al popolo ebraico. Sullo sfondo, un terremoto apocalittico che sconquassa il Medio Oriente trascinando Israele in una guerra con i confinanti, che è l'espediente narrativo per costringere Jacob a metabolizzare, una volta per tutte, il suo essere "ebreo religioso".
Le 666 pagine del libro sono un'occasione mancata. Da tempo si attende il nuovo grande romanzo americano, un nuovo Via col vento fatto di famiglia, luoghi, conflitti.
Di famiglia, in "Eccomi" ce n'è tanta. Gioiosa, dolorosa, riflessiva, ipercolta, corale. Il luogo, Washington, non poteva essere più rappresentativo di un'America in cui le "vite interiori" sono "schiacciate da tutto quel vivere". Conflitti, vari e abbondanti, metaforici e reali: si combattono i coniugi , lotta Jacob contro suo padre, i suoi figli, i parenti venuti da Israele, perfino contro sè stesso. Scende in guerra Israele, richiamando gli ebrei americani. "Eccomi" sembrerebbe il candidato perfetto.
Eppure non mi ha spinta verso un totalizzante coinvolgimento emotivo. Sarà per uno squilibrio tra la mancanza di elementi ossigenanti e la sovrabbondanza di quelli "celebrali" che porta Safran Foer lontano dall' effervescenza del Portnoy di Roth e dalla pacatezza de " Il commesso" di Malamud, senza suggerirgli una terza via che non sia un' accuratezza da manuale di psicologia.
Eppure non mi ha spinta verso un totalizzante coinvolgimento emotivo. Sarà per uno squilibrio tra la mancanza di elementi ossigenanti e la sovrabbondanza di quelli "celebrali" che porta Safran Foer lontano dall' effervescenza del Portnoy di Roth e dalla pacatezza de " Il commesso" di Malamud, senza suggerirgli una terza via che non sia un' accuratezza da manuale di psicologia.
Eccomi è un romanzo impeccabile. Ma un romanzo riuscito deve andare oltre " il perfetto per contenuto e forma".
giovedì 22 settembre 2016
Due piccioni con una fava: “ Zia Titina e L’Isis” — “ Fuoco su Napoli”

Io, Lanzetta lo scrittore lo adoro, più del suo alter ego attore. La Napoli come la racconta lui, vitale, sanguigna, dolente e giuliva, nel suo impasto di vita e di sangue, mi fa uscire pazza.
Non ci ho pensato due volte: "Zia Titina e L'ISIS" me lo sono portato a casa: 70 pagine, 9 €, Tullio Pironti editore, come dire a chilometro zero. Non potevo fare altrimenti.
Me lo sono bevuto in una manciata d'ore. Adesso sono triste e non di certo perchè già l'ho finito. Mi dispiace perchè non mi sento di dirne bene. L'affetto e l'ammirazine per Lanzetta mi impongono sincerità, perciò non lo salvo a meno di considerarlo un divertissement , un gioco, una facezie, insomma, con cui anche l'autore si è spassato non più di una manciata d'ore. Il libricino è un piccolo"papocchio". Vi si narra la storia di un elettrauto che, dati i caratteri somatici mediorientaleggianti, recatosi al supermercato, viene scambiato per un terrorista e si trova a vivere un'avventura surreale in questura. Un parente lontano, ma lontano anni luce, del Castello di Kafka scritto in preda ad una sbornia epocale o a una altrettanto epica " grande fumata". ( Lo so, lo so, un tantinello cattiva, ma l'ho pensato mentre leggevo e lo scrivo). In un flusso psichedelico di nomi, citazioni e allusioni prese a prestito dalle pagine di storia più contemporanee, Lanzetta mescola tutto e tutti, in un pulp surreale dove vengono chiamati in causa persino Stevie Wonder e Barry White, senza tuttavia convincermi. Nonostante il messaggio finale di redenzione e pace, a mio modestissimo parere, Lanzetta poteva fare di meglio che riproporre una storiella somigliante a quelle che girano su FB.
Altro giro altra corsa.

Veniamo all'altro libro della settimana : Ruggero Cappuccio – Fuoco su Napoli – Feltrinelli 2010.
"Dio sia lodato per gli amici che ci regala". Questa è misera farina del mio sacco che mi consente di rendere grazie al Signore Iddio in primis, e agli amici -amicA in questo caso- che consigliano libri meritevoli. Assolto l'obbligo di gratitudine, procedo.
Fuoco su Napoli, vincitore nel 2011 del Premio Napoli, non è un libro. E' un' esperienza affabulatoria, al limite del mistico.
Gli ingredienti del grande romanzo li ha tutti.
E' epopea romantica di un uomo che si è fatto da solo, imbastita attraverso la fascinazione del segreto di nascita astutamente celato agli occhi del mondo, la seduzione di un amore con la A maiuscola affidato ad un racconto di tale sofisticata ingenuità che l'accostamento ad un romanzo rosa trasudante di passionalità quasi ancestrale, lungi dal trascinarlo verso il basso lo innalza verso vette più auliche .E' romanzo storico e sociale nella maniera in cui tratteggia, con padronanza e misura, politica, camorra, criminalità. E' luogo dell'anima nelle parti in cui ci riporta a Napoli, "la grande madre" e in cui diventa lo specchio in cui noi tutti, figli di questa madre, non voremmo mai specchiarci. La trama è solida, avvincentissima, costruita con una sapienza magistrale. Eppure su tutta questa ricchezza di elementi, in questa cornucopia di prosperità un elemento sopra tutti mi ha incantata: il linguaggio. Superlativo. Non semplicemente scrittura, ma affabaluzione pura, canto mistico appunto.
Una lingua, quella di Cappuccio, corposa, sostanziosa, importante che sovrasta la storia senza tuttavia minimamente soffocarla. Una lingua che soggioga il lettore come un'onda che rinfresca, ritempra ma non infradicia, che ha la sapienza di ritirarsi un istante prima di diventare molesta.
Cappuccio osa, e fa bene. Osa con metafore, aggettivazioni, accostamenti, richiami.
Si può essere sontuosi senza sfarzo? A quanto pare si. Accade quando si riesce a nascondere la lunga ponderazione da cui sono generate le parole. Il trucco, degno del più fine degli illusionisti, farle sembrare, le parole, neppure frutto di un caso ma di una reminescenza avuta in dono dallo scrittore, il quale, come fosse un archeologo, le riporta semplicemente alla luce.
Fuoco su Napoli è letteralmente una collana di perle mozzafiato, dove aggettivi, avverbi, espressioni idiomatiche e dialettali si confondono e si fondono, dove l'originalità e l'audacia di Cappuccio si arrestano al momento giusto: appena un soffio prima della sovrabbondanza, appena un soffo prima di diventare oscure: onda che rinfresca ma non si fa molesta.
mercoledì 21 settembre 2016
Aslı Erdoğan

Questa nell'immagine è Aslı Erdoğan. Turca, scrittrice, giornalista, attivista per i diritti umani. E' stata arrestata ad Istanbul il 20 agosto 2016.
Tramite il suo avvocato è riuscita a comunicare - in un racconto diffuso da diverse testate giornalistiche- la sua esperienza in prigione:-" Gli agenti mi trattano in un modo che lascerà segni permanenti nel mio fisico. Ho il pancreas e l'apparato digerente che non funzionano bene a causa di problemi intestinali che mi affliggono da 10 anni, e le medicine mi sono negate da 5 giorni. Sono diabetica e necessito di una alimentazione particolare ma mi sfamano sono con dello yoghurt. In più soffro di asma e di ostruzione polmonare cronica ma da quando sono in prigione non mi è consentito di stare all' aria aperta. "
A sostegno della liberazione di Aslı Erdoğan è stata lanciata l'iniziativa "Scrittura libera". Nelle librerie aderenti si terranno letture pubbliche di passi tratti dell' unico suo libro tradotto ad oggi in Italia.
“Il mandarino meraviglioso” (Keller, 2014. Traduzione di Giulia Ansaldo).
Contro il provvedimento con cui , il 5 Settembre, è stato confermato l'arresto di Aslı Erdoğan, con l'accusa di aver pubblicato articoli su un giornale filo-curdo e di intrattenere legami con il PKK , mi unisco all'iniziativa a titolo personale.
"il primo bacio al Parco Yildiz, il fresco cortile di Beyazit dove ho bevuto un te' denso col narghile' in un soffocante pomeriggio d'estate...
I ricordi della prima gioventu'; del primo amore, della prima ubriacatura.
E il corpo del gattino rimasto rotto il minibus, disintegrato, fino a sera mescolato all'asfalto, le discariche, le ragazze colpite dalle disastrose botte dei padri, e i cani randagi dagli occhi pieni di tristezza...
Anche questa terra riempita di sangue mi restera' sempre dentro."
mercoledì 14 settembre 2016
Viva la gogna: è gratis e ci fa sentire migliori
Cronaca di un’ordinaria mattinata di gogna mediatica.
Accedo di buonòra, come consuetudine, ai principali social media per leggervi, riassunta in tweet e status, la cronaca parzialissima –ne sono consapevole e lo faccio ormai scientemente- dei fatti dal mondo. Su Fb gli “stati” e i commenti sulla dolorosa vicenda di Tiziana si moltiplicano a vista d’occhio. Mi dispongo a mettere i “like” di rito alle opinioni più vicine alla mia “sensibilità” scegliendo, tuttavia, di non tuffarmi nel mare delle discussioni perché i commentatori sono a buon punto. Poi non so per quale gioco del demoniaco algoritmo di Fb mi passa sotto gli occhi il post di una popolare ex “Blogger” /“commentatrice social” ora giornalista, nonostante non sia tra i suoi "seguaci". Il post è uno shot a cui seguono centinaia di commenti. Nella foto in realtà sono cristallizzati a futura memoria virtuale due immagini: la prima è quella relativa al commento postato dalla stessa giornalista /blogger/ personaggio pubblico sulla pagina di un essere infimo che infierisce sulla povera Tiziana, la seconda è quella del commento del suddetto essere infimo che, rivolgendosi direttamente alla vittima, si complimenta con la scelta del gesto estremo e auspica che tutte “quelle come lei facciano la stessa fine”. L’idea, lanciata dalla blogger/ commentatrice social/ ora giornalista, prontamente accolta dalla fascia d’ascolto, è di far girare lo shot per regalare all’essere infimo “un giorno da Tiziana Cantone”. In corso d’opera, poi, il progetto si evolve. Il proposito di vendetta –per così dire - si raffina. Prende corpo la proposta di segnalare il soggetto ai suoi datori di lavoro chiedendone il licenziamento: nel frattempo, infatti, con un abile opera di spionaggio mediatico è stato ricostruito il profilo dell' infame.
Qui termino la cronaca e inizio il “pippone” .
Comincio dalla fine, sintetizzano cioè in una sottospecie di slogan quello che a me pare emerga chiaramente dalla rete: Chi di gogna ferisce di gogna perisca!
Capisco, per averlo provato io stessa, l’impulso irrefrenabile di appendere per le palle questo coglione.
Capisco, per essere stata anche io ad un punto dal farlo, l'impeto di condividere lo shot.
Accedo di buonòra, come consuetudine, ai principali social media per leggervi, riassunta in tweet e status, la cronaca parzialissima –ne sono consapevole e lo faccio ormai scientemente- dei fatti dal mondo. Su Fb gli “stati” e i commenti sulla dolorosa vicenda di Tiziana si moltiplicano a vista d’occhio. Mi dispongo a mettere i “like” di rito alle opinioni più vicine alla mia “sensibilità” scegliendo, tuttavia, di non tuffarmi nel mare delle discussioni perché i commentatori sono a buon punto. Poi non so per quale gioco del demoniaco algoritmo di Fb mi passa sotto gli occhi il post di una popolare ex “Blogger” /“commentatrice social” ora giornalista, nonostante non sia tra i suoi "seguaci". Il post è uno shot a cui seguono centinaia di commenti. Nella foto in realtà sono cristallizzati a futura memoria virtuale due immagini: la prima è quella relativa al commento postato dalla stessa giornalista /blogger/ personaggio pubblico sulla pagina di un essere infimo che infierisce sulla povera Tiziana, la seconda è quella del commento del suddetto essere infimo che, rivolgendosi direttamente alla vittima, si complimenta con la scelta del gesto estremo e auspica che tutte “quelle come lei facciano la stessa fine”. L’idea, lanciata dalla blogger/ commentatrice social/ ora giornalista, prontamente accolta dalla fascia d’ascolto, è di far girare lo shot per regalare all’essere infimo “un giorno da Tiziana Cantone”. In corso d’opera, poi, il progetto si evolve. Il proposito di vendetta –per così dire - si raffina. Prende corpo la proposta di segnalare il soggetto ai suoi datori di lavoro chiedendone il licenziamento: nel frattempo, infatti, con un abile opera di spionaggio mediatico è stato ricostruito il profilo dell' infame.
Qui termino la cronaca e inizio il “pippone” .
Comincio dalla fine, sintetizzano cioè in una sottospecie di slogan quello che a me pare emerga chiaramente dalla rete: Chi di gogna ferisce di gogna perisca!
Capisco, per averlo provato io stessa, l’impulso irrefrenabile di appendere per le palle questo coglione.
Capisco, per essere stata anche io ad un punto dal farlo, l'impeto di condividere lo shot.
Approvo la necessità di impartire a questo ammasso di cellule privo di etica, empatia, umanità, educazione nonchè intelligenza una lezione. Ma associarmi a chi pratica contro di lui la gogna, anche no grazie!
La pulsione che ci spinge a cercare giustizia è ancestrale. Penso tuttavia che il nostro destino di uomini sia di isolare, processare, neutralizzare tutte le pulsioni viscerali che rivelano purtroppo ancora traccia del nostro passato di bestie. Guidarle dallo sfintere alla pancia fin su al cervello e farne un distillato di gesti quanto più civili possibili.
Che senso ha darla vita a questo essere ignobile comportandoci esattamente come ha fatto lui?
Quando qualcuno mi ferisce a sangue, istigandomi quasi ad una risposta parimenti feroce e offensiva, desisto dalla rappresaglia pensando che il mio gesto di rivalsa sarebbe una vittoria per l'avversario capace di spingermi sul proprio territorio, di trasformarmi in lui.
Quale poteva essere il modo per neutralizzare questo coglione? Segnalarlo alle autorità? Segnalarlo a Fb? Indubbiamente. Sarebbe bastato tuttavia anche seppellirlo sotto una coltre di oblio, così come sarà per i migliaia ( infondo questo stronzo è il capro espiatorio di un gregge molto più vasto che la passerà liscia) che in questa storia hanno agito esattamente come lui. Non ci sarebbe stata "punizione", è vero, ma almeno gli avremmo dato un buon esempio. Gli avremmo insegnato come centinaia di persone scelgono di non trasformarsi in “persecutori”. Gli avremmo fornito la prova che con un po' di cuore, d'intelligenza, umanità e educazione ai sentimenti gli esseri umani sono molto migliori di quanto lo sia lui e quelli della sua razza colpevoli di aver spinto una persona al suicidio. Ogni singolo Like al filmato di Tiziana, ogni singolo commento, o singola condivisione sono stati il motore della macchina della viralità che le ha legato e stretto il fatidico cappio intorno alla gola.
Se tutto questo ci sfugge siamo impantanati in un fosso di sabbie mobili ad un passo dall'essere risucchiati sul fondo. Se tutto questo ci sfugge continueremo a farci del male convinti che "la situazione è grave ma non è seria". Se tutto questo ci sfugge resteremo avvitati per sempre nella terribile empasse di "combattere per la pace", che equivale -come disse qualcuno- "a fare sesso per la verginità".
La pulsione che ci spinge a cercare giustizia è ancestrale. Penso tuttavia che il nostro destino di uomini sia di isolare, processare, neutralizzare tutte le pulsioni viscerali che rivelano purtroppo ancora traccia del nostro passato di bestie. Guidarle dallo sfintere alla pancia fin su al cervello e farne un distillato di gesti quanto più civili possibili.
Che senso ha darla vita a questo essere ignobile comportandoci esattamente come ha fatto lui?
Quando qualcuno mi ferisce a sangue, istigandomi quasi ad una risposta parimenti feroce e offensiva, desisto dalla rappresaglia pensando che il mio gesto di rivalsa sarebbe una vittoria per l'avversario capace di spingermi sul proprio territorio, di trasformarmi in lui.
Quale poteva essere il modo per neutralizzare questo coglione? Segnalarlo alle autorità? Segnalarlo a Fb? Indubbiamente. Sarebbe bastato tuttavia anche seppellirlo sotto una coltre di oblio, così come sarà per i migliaia ( infondo questo stronzo è il capro espiatorio di un gregge molto più vasto che la passerà liscia) che in questa storia hanno agito esattamente come lui. Non ci sarebbe stata "punizione", è vero, ma almeno gli avremmo dato un buon esempio. Gli avremmo insegnato come centinaia di persone scelgono di non trasformarsi in “persecutori”. Gli avremmo fornito la prova che con un po' di cuore, d'intelligenza, umanità e educazione ai sentimenti gli esseri umani sono molto migliori di quanto lo sia lui e quelli della sua razza colpevoli di aver spinto una persona al suicidio. Ogni singolo Like al filmato di Tiziana, ogni singolo commento, o singola condivisione sono stati il motore della macchina della viralità che le ha legato e stretto il fatidico cappio intorno alla gola.
Se tutto questo ci sfugge siamo impantanati in un fosso di sabbie mobili ad un passo dall'essere risucchiati sul fondo. Se tutto questo ci sfugge continueremo a farci del male convinti che "la situazione è grave ma non è seria". Se tutto questo ci sfugge resteremo avvitati per sempre nella terribile empasse di "combattere per la pace", che equivale -come disse qualcuno- "a fare sesso per la verginità".
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