"Da molto tempo non leggevo un romanzo così persuasivo, commovente, così brillantemente concepito". Mario Vargas Llosa.
L'opinione di un Nobel non è cosa di poco conto. Non ha bisogno di zeppe a supporto. Aggiungo che, sebbene lunghetto, il romanzo di Aramburu, si legge in fretta, non solo perché scorrevolissimo, soprattutto perché prende. Vite intrecciate e al contempo slegate dal medesimo evento tragico. Declinazioni diverse di un unico dolore. In quanto al caso: nominativo per chi è stato artefice dell'evento drammatico da cui genera la narrazione , genitivo per chi lo ha fatto proprio e lo ha portato come una croce per l'intera vita, accusativo per coloro sui quali è transitato, dativo per colui che ne è stato destinatario, vocativo per quelli che lo hanno sacralizzato, ablativo per coloro che lo hanno strumentalizzato ai fini più personali.
Due famiglie, nove protagonisti, sullo sfondo di una Spagna dilaniata dal terrorismo di matrice indipendentista. Come nella tradizione dei romanzi migliori, terminata l'ultima pagina, le loro voci vi mancheranno e vi sorprenderete a fantasticare, quasi fossero creature realmente esistenti, su che cosa stiano, ora, facendo.
Non è un pranzo di gala
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