domenica 20 maggio 2018

Intraprendenza giovanile

Oggi mi hanno proposto un affare, e io l’ho colto al volo, senza preoccuparmi se fosse buono. L’ho afferrato senza indugio, conscia che – come s’ evinceva dal sorriso furbastro, retro_espressione della facciata posticciamente ingenua dell’imbonitore- agli occhi di chi me lo rifilava incarnavo il proverbiale pollo da gabbare.
Non ne volevo parlare, giuro!
Ma rimuginare non serve a niente, se non si può esternare, soprattutto quando il topic è di quelli per voi ad alta sensibilità e sui quali ci prendete abbastanza.
Il fatto è questo: tornando dalla presentazione de “ Il corpo del reato” di Carlo Bonini ( inchiesta giornalistica sul caso Cucchi) ed. Feltrinelli, mi reco all’appuntamento con mia figlia davanti ad una nota libreria di catena, dove vengo intercettata da un giovanotto che mi propone l’acquisto del suo libro.
“Lei legge?” - esordisce
Nel momento in cui decido di rispondere –superfluo aggiungere affermativamente?-  ho già ingoiato coscientemente l’amo che mi si è parato davanti, spropositatamente grande rispetto alla risicata e non freschissima esca con cui si pretende di occultarlo. 
Potevo essere cattiva e snobbarlo. Invece, volenterosa, decido che cinque euro ce li posso “rifondere”. Lui sente l’ebbrezza della piccola vittoria portata a segno e gongola ancor di più quando gli dico che non solo leggo ma scrivo anche di libri.  E’ sveglio, il ragazzo. Intraprendenza ne ha da vendere e mi chiede subito una recensione, sottolineando che il libro mi piacerà.
C’è un prezzo per tutto. Decido che il sedicente “scrittore” mi dovrà un corrispettivo per i miei euro. Congrui mi sembrano: un serrato interrogatorio e una essenziale ramanzina.
Gli chiedo del suo percorso di studi, di cosa legga, se ha avuto un editor o quanto meno un lettore b, quanto abbia pagato per realizzare il suo sogno.
Nell’ordine viene fuori che è studente di scienze motorie, che non legge essendo occupato nello studio ( e ad imbrattare pagine bianche, evidentemente), che glielo ha letto, il libro, una non meglio individuabile professoressa di italiano.
 Ne deduco che non stiamo maneggiando quella fattispecie che va sotto il titolo “ realizzazione di un sogno” quando piuttosto  la fase conclusiva di un progetto istintivo ( che tuttavia denota  forte interiorizzazione dei principi del più genuino  yuppismo anni ’80)     oscillante tra la soddisfazione di un capriccio estemporaneo :” mi è venuta in mente questa storia, che è veramente bella ( si sbilancia senza un briciolo di umiltà)” e un ruspante piano per raggranellare qualche soldo commercializzando il manufatto.  (L’obiettivo affinché questa rudimentale società commerciale chiuda in attivo il suo bilancio è minimo. Per recuperare i cinquanta euro delle spese di produzione basta, infatti, che venda 10 libri. Dubitate voi che la città scarseggi di altri nove fessi, oltre la sottoscritta?)
Mi sovviene la celebre frase di Abbie Hoffman “Eravamo giovani, eravamo avventati, arroganti, stupidi, testardi. E avevamo ragione!”
Cinque su sei, niente male. Giovane è giovane. Avventato pure. L’arroganza non manca e non gli difettano stupidità e testardaggine. Ma in quanto ad avere dalla sua la ragione, ah! Quanto ne corre.
Ci passano “le novantanove bottiglie di pipì” a cui sempre penso quando si parla di self publishing (vanity press, in inglese) dell’omonimo capitolo tratto dal libro ““Il cuore è idiota” di Davy Rothbart, dove l’autore narra di come, per rivincita su un  impostore, reo d’avergli raggirato il padre illudendolo con promesse di successi sicuri, gli invia giorno dopo giorno, appunto, un arsenale di novantanove bottiglie di urina. Non ho a portata di mano simili munizioni e sopperisco infarcendo di consigli e rimproveri il pistolotto che  destino al mio scrivano   : leggere molto (gli faccio dei nomi), cominciare a gettare un occhio serio sul mondo letterario e quello editoriale, trovarsi un editor che lo corregga, lo guidi, che sinceramente e con competenza giudichi il suo lavoro. Che abbandoni la via del  self publishing almeno in quella forma così pressappochista e minimale a cui si è avvicinato. Cinquanta euro, per questa volta, passino. E’ stato persino fortunato, dato che per il futuro potrebbe finire in bocca a squali più famelici.
Apro  una pagina a caso del libro e l’occhio mi cade su un periodo che si conclude in un tripudio di punti esclamativi. Gli faccio notare che l’enfasi di una frase non è data dal numero di punti d’esclamazione, che ne basta sempre e solo uno!!!! Fa una faccia strana e mi chiede di ripetere il concetto. Mi rendo conto che me lo sono perso alla parola “enfasi”. Ci scappa qualche rimprovero.
L’ultima cosa la dico tra i denti, quasi a me stessa:” Chissà, magari avessi mai letto un Harmony, già avresti capito un po’ più cose sul mestiere di scrivere”.
Sono sempre stata una che fa i compiti. Anche questa volta, leggerò le 129 pagine del libro. Nulla a che fare con la curiosità. Neppure con l’ansia di stroncare. Lo leggerò piuttosto – per un sadico contrappasso- con lo stesso spirito con cui guardo certe performance canore ai provini di x factor.
Per cercare di individuare   responsabili e responsabilità   di una deriva pressappochista nociva e altamente contagiosa.
Chi non ha spiegato al giovanotto che c’è una differenza tra “scrivente” e “scrittore”?  Che il talento non è prevalentemente roba di pancia ma è questione di studio, disciplina, confronto? Che è una colpa grave ignorare l’esistenza dei vari livelli di scrittura, dei tanti generi letterari, delle tecniche di narrazione?
Chi non si è assunto la responsabilità di cassare il capriccio velleitario di un ventunenne?
Scoraggiare, infrangere sogni, tarpare ali. Brutte espressioni, “lavori difficili” per gente dura, ma di cuore. Infatti, in storie come questa  di illusioni malignamente alimentate, non sempre i cattivi sono quelli che così ci appaiono a prima vista. Più crudele  di chi smorza gli entusiasmi e ridimenziona i talenti è colui che manda, per tornaconto, ignavia, mancanza di professionalità,  il  debuttante allo sbaraglio.
“Scriverà del mio libro?”
No. Non scriverò nulla. Se però un giorno riuscirai a diventare scrittore, colmando tutte le lacune che ti porti dietro, ricorda che questo esordio peserà sulla tua carriera come  la prima e unica foto di nudo nel curriculum dell' attrice.

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