lunedì 15 ottobre 2018

Il contagio


Una volta vivevamo, la mia famiglia ed io, in un paese dove cominciavano a verificarsi i primi casi di un’epidemia che sarebbe diventata, nel tempo, molto estesa e preoccupante.
Non percepii il pericolo di far parte di quella comunità. Mi correggo. Ad essere sincera, sebbene lo avessi percepito, mi convinsi che le mie bambine non si sarebbero ammalate. Avrei tenuto fuori di casa il virus non tralasciando alcuna norma igienica, dalle specifiche del caso alle più comuni. Inoltre pensai che avrebbero beneficiato dell’immunità del gregge. Noi adulti di famiglia eravamo tutti vaccinati e mi risultava che lo fossero anche gli amici stretti  nonchè i conoscenti.
Purtroppo però sottovalutai la situazione o sopravvalutai le mie capacità e non mi accorsi che uno delle piccole a scuola avesse contratto il malanno.
Se lo portò in incubazione durante il trasferimento a Varcaturo, in Campania, dove ci stabilimmo successivamente. Esplose in tutta la sua aggressività proprio alla vigilia del primo giorno di lezione, durante il tragitto dalla nuova casa alla scuola.
Ricordo esattamente il momento in cui esordì. Eravamo in macchina. Guidavo lungo una strada periferica piuttosto mal ridotta come lo sono tutte quelle della zona. Superavo i tanti gruppi di lavoratori di colore che, secondo la consuetudine locale, al mattino presidiano la via in attesa di chi cerca manodopera giornaliera da sottopagare, naturalmente in nero.
La piccola sedeva  dietro. Nella quotidiana lotta alla conquista del sediolino accanto al guidatore l’onore era toccato alla sorella maggiore. Lei si era rassegnata ma ancora imbronciata, guardando dal finestrino, non rinunciava ogni tanto a esprimere disappunto. Le sue recriminazioni cominciavano sempre con un :-” non è giusto”- , per cui non le prestai molta attenzione quando starnutì la prima volta. Al secondo starnuto, pensai di aver frainteso. Al terzo aguzzai le orecchie. :-” Non è giusto che questi vengono qua da noi. Perchè non restano a casa loro?”
Non mi restavano più dubbi. Per poco non andammo sbattere.
Come era possibile che dalla bocca di mia figlia uscissero tali sconcezze? Quando il virus del razzismo aveva fatto breccia tra le mura fortificate di casa nostra?
Questo mito dimostra che non bisogna dare alcunché di scontato, che ci sono ambiti dove non c’è nulla di innato ma solo di acquisito e che anche la tolleranza e l’ intolleranza si imparano, non solo a casa, evidentemente anche a scuola, come nel caso di mia figlia, contagiata dalla maleducazione dei compagni.
Nonostante impiegai diverse settimane per cancellare le tracce del virus, fortunatamente  la piccola si ristabilì perfettamente.
Non fate come me, non vi fidate dell’immunità del gregge. Vaccinate quotidianamente i vostri bambini contro l’intolleranza, vigilando che nessuno dei brutti discorsi ascoltati là fuori faccia presa nei loro cuori.

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