domenica 5 giugno 2016

Taccuino turco (4 Parte)

Se in Inghilterra i marchi più prestigiosi ed i negozi più raffinati si fregiano dell’approvazione della regina, a me bastava che negozianti e artigiani a cui mi rivolgevo possedessero le referenze delle consorelle. A rendermi circospetta non era tanto la preoccupazione di imbattermi in disonesti -ovunque nel mondo i malfattori restano, per fortuna, solo una piccola percentuale-  quanto l’ansia di finire nelle mani di persone prepotenti.
I tuoi figli, Smirne, come molti popoli che hanno storie antiche e travagliate alle spalle, sono dotati di un grande acume. Sopravvissuti in ragione di tale virtù a dolori e   sofferenze     hanno sviluppato quella nobilissima predisposizione dell’animo alla comprensione e alla solidarietà che i latini chiamavano piétas. Hanno   un carattere   perspicace, aperto e tollerante. Tutti tendono ad occuparsi dei grattacapi altrui, per senso del dovere o per semplice curiosità. Grazie alla loro sagacia non hanno bisogno di molto tempo o parole per arrivare alla soluzione dei problemi. Tuttavia è possibile che in alcuni prevalga sull’indole buona una vera e propria strafottenza -anch’essa probabile retaggio antico-  che dà origine a pretestuosi malintesi. Il segreto per capire quando ci si sta infilando in uno di questi vicoli ciechi mi fu suggerito da mia figlia, la quale mi mise in guardia dagli individui che ripetono continuamente “tamam”. Simile al napoletanissimo “va bbuon’” anche nel modo insolente in cui viene pronunciato, più che una genuina rassicurazione questo termine viene a significare: “parla pure quanto vuoi che tanto io faccio come voglio”. Con gli appartenenti al partito del Tamam non c’è alcuna possibilità d’intesa. Bisogna affidarsi piuttosto a   coloro che replicano con “anladım”, “ho capito”: questo verbo, solo questo garantisce che il lavoro sia eseguito secondo le istruzioni date.  Per sfuggire a spiacevoli incontri con gli appartenenti alla prima categoria -che pure ebbi occasione di sperimentare- restavo saldamente ancorata alle indicazioni delle suore: avevano selezionato una lista di persone che –come si era constatato in più occasioni e aveva sottolineato Vittoria, mia figlia-  sapevano ammettere con umiltà di “non aver capito “affatto.

A noi famiglie di militari, uccelli migratori per professione, come ad altri che sono costretti a spostarsi continuamente per lavoro, succede di vivere inizialmente grazie al passaparola. Ereditiamo dai predecessori le informazioni di cui abbiamo necessità e le utilizziamo fin quando non diventiamo tanto confidenti da sperimentare percorsi alternativi. Finiamo, con il tempo, per tessere una tela nuova, perfettamente aderente alle esigenze e ai gusti individuali, in cui vanno ad intrecciarsi la trama delle nuove scoperte personali con l’ordito dei vecchi consigli altrui. Se ci si confronta con altri che hanno vissuto nei medesimi luoghi ma in altri periodi spesso i racconti non coincidono. Allora, per giustificare le apparenti incongruenze della narrazione, gli episodi di queste personalissime saghe sono intervallati, quasi fosse una giaculatoria necessaria, dall’esclamazione “ai miei tempi”. Fin qui si è raccontato, per l’appunto, ciò che accadeva ai miei tempi.

Non è un pranzo di gala

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