lunedì 6 giugno 2016

Ultime letture

Tra “Lettera a D.” di A. Gorz ,  “La madonna dei mandarini” di A. Cilento e “Dalle rovine” di L. Funetta –dei quali ho già scritto - ho avuto altre avventure.
Ho letto “ Mr. Peanut” di Adam Ross, “Omaggio alla Catalogna” di G. Orwell, “Maestro Utrecht” di Paolo Longo,  “Non è un mestiere per scrittori” di G. D’Antona e infine “Casa” di Marilynne Robinson.
La premessa è sempre la solita: “quello che non strozza ingrassa, dunque aver letto un libro, anche se non ci lascia entusiasti è sempre meglio di non averlo letto.
Sono una lettrice indipendente -lo ribadisco con ostinazione- il che tradotto significa comprarsi i libri di tasca propria   e  parlarne poi non come ne farebbe un critico, valutando cioè tutti gli elementi tecnici della scrittura, ne’ come un imbonitore, che deve vendere il prodotto, ma come un appassionato che esprime un giudizio di gradimento.
L’editoria, industria malconcia ma vitale, sforna titoli su titoli ogni giorno. Più di quanti il più folle e appassionato lettore potrà mai leggerne in una, ma anche due vite.  Il passaparola resta il miglior strumento per destreggiarsi nella scelta. E qui di passaparola si tratta.
Detto ciò, ciò detto, che ritradotto significa. “Comprate e leggete ciò che volete”, passiamo ai libri.
Mr Peanut”, di Adam Ross, Einaudi editore, traduzione di Cristiana Mennella.
Ho scoperto Adam Ross e il suo romanzo d’esordio “Mr Peanut”, pubblicato in America nel 2010, grazie al suggerimento di un parente stretto della traduttrice. Il New York Times Book Preview, lo definì “un libro brillante, potente. In una parola memorabile”, Il The New Yorker lo incluse tra i migliori di quell’ anno e il Maestro King così lo descrisse:” La piú avvincente esplorazione del lato oscuro del matrimonio che abbia letto da molto tempo. Mi ha fatto venire gli incubi: impresa non da poco”. Confesso che la successione cronologica in cui ho infilato il libro mi hanno fatto dubitare della scelta.
Uscire da “lettera a D.” e pensare di immergermi, senza contraccolpi, in un romanzo che parla di uxoricidi aspiranti o addirittura praticanti? cosa se non pura follia. “Mr Penaut” è la riprova che una bella penna può davvero tutto, anche cancellare il romanticismo di Gorz per farti apprezzare altre voci sull’ amore e sul rapporto di coppia, farti entrare in altre vite e renderti ugualmente schiavo della storia fino al punto di costringerti alla nottata per venire al dunque.

Altro giro, altra corsa per “Omaggio alla Catalogna” di G. Orwell, edizioni Mondadori, traduzione a cura di Giorgio Monicelli.
Alla lettura di questo saggio –resto fedele alla catalogazione della Mondadori- ho dovuto ottemperare adeguandomi alle direttive del gruppo di  lettori di cui faccio parte. Difficilmente lo avrei fatto autonomamente.
Non amo particolarmente Orwell, neppure quello dei romanzi più fortunati. Convengo sulla importanza e l’originalità dei messaggi contenuti nei suoi testi, ma la sua penna non mi fa impazzire. La prima parte dell’” Omaggio”, cronaca dalla trincea, seppure non difficoltà, l’ho mandata giù. La seconda, invece, ovvero le due appendici di ricostruzione degli scenari politici, le ho patite come una passeggiata in salita sotto il sole d’agosto. Non si butta via niente in ogni caso: resta un utile lettura per chi volesse uno spaccato della guerra civile spagnola e venire a capo dell’avversione al comunismo   dell’autore, che affonda probabilmente le sue radici in quest’avventura.

Veniamo ora a “ Maestro Utrecht” di Paolo Longo, edizioni NN.
Con la casa editrice milanese si è aperta, fin dai suoi esordi con la Ofill, un canale di simpatia preferenziale che  neppure la delusione di questa lettura -sono certa- fiaccherà.
Avevo già usato l’espressione “ sa di poco” a proposito della Cilento e del suo “la Madonna dei mandarini”, subito –in quel caso- correggendo il tiro.
Qui, invece, non trovo argomentazioni sufficienti a rimangiarmi il giudizio. Una storia esigua. Buona scrittura, per carità, scorrevole e pulita. Raffinata, anche. Il ritmo complessivo della narrazione è pacato, disteso. Una passeggiata nei campi, questa, diversamente dall’affanno orwelliano di cui si diceva innanzi.  Tuttavia il libro si riduce a un filino di sottile di trama che non mi ha appagato affatto. Solo due i momenti in cui ha catturato con cipiglio l’attenzione: quando il protagonista, sulle tracce del Maestro Utrecht, fa riferimento a Montichiari, paese che conosco bene per essere vissuta nei pressi, e a Saarbrücken, posto nei cui paraggi vivo saltuariamente adesso e in cui mi trovavo proprio nei giorni in cui leggevo il romanzo. Motivi del tutto secondari e insufficienti –lo si comprende- a rivedere la mia idea.
Sotto a chi tocca e ora è il turno di “Non è un mestiere per scrittori” di G. D’Antona.
In questo caso il consiglio di lettura per gli appassionati di letteratura americana è perentorio: da leggere assolutamente.
D’Antona è un giornalista. Ha vissuto per un lungo periodo in America sulle tracce dei suoi scrittori preferiti, indagando inoltre gli ambienti della editoria, delle scuole di scrittura creativa e della letteratura in generale. Quello che ne è venuto fuori non è naturalmente un romanzo, bensì un lungo –siamo sopra le 500 pagine, che si sappia- reportage/ memoriale di viaggio piacevolissimo e soprattutto utile a chi –come la sottoscritta- in attesa di leggere “Il canone americano” di Harold Bloom, vuole mettere un po’ di ordine tra gli autori d’oltreoceano. Aneddoti, retroscena, analisi e giudizi interessantissimi. Un libro che vale tutti i soldi e il tempo che ci spenderete.

In chiusura di questa piccola rassegna, last but not least, Marilynne Robinson con Casa, tradotto da Eva Kampmann, edito da Einaudi.
Trattasi del secondo libro di una triologia nella quale la Robinsonn affida Gilead, piccolissima cittadina americana, e alcuni episodi a cui essa fa da scenario, alla narrazione di tre personaggi differenti ma legati tra loro. Ho scelto di cominciarne la lettura dal romanzo “di mezzo”, dove a raccontare il ritorno a casa è la figlia ultimogenita di un pastore, per un   personale capriccio.
Anche qui, come per il libro di D’Antona, mi sbilancio con un consiglio vivissimo di lettura.
In America la Robinsonn, insegnante di scrittura creativa in una delle più prestigiose scuole del paese, ha già riscosso tutti i tributi e le lodi che merita. Persino il presidente Obama si è ritagliato il privilegio di intervistarla data l’incondizionata ammirazione che le porta (e del giudizio di Barack lettore noi ci fidiamo fin da quando consigliò la Homes). Anche in Italia comincia a circolare il suo nome e qualche premio è già pure arrivato.
Il libro è molto bello. La scrittura pacata, mai forzata è fluida e calda. Quanto al contenuto, benché siano lontani intenti didascalici, può insegnare molto sui ritorni dei figliol prodighi, sulla paternità, sulla famiglia, sull’accettazione.
Per ora è tutto, passo è chiudo.

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