giovedì 10 marzo 2016

Fringe (6 parte: indizi)

Così fu, infatti. Quando puntò il naso all’insù uscendo dall’abitacolo, dello spettacolare buco in direzione del quale aveva fin lì guidato non era rimasta quasi traccia. Si era rimpicciolito alle dimensioni di un foro troppo piccolo per spiarci attraverso ma sufficiente a lasciar cadere ancora qualcosa. Scattò in avanti per afferrare il foglio di carta che le svolazzava incontro ma non fece in tempo a schivare lo zaino. Non era grande e neppure pesante, come ebbe modo di constatare dopo che si fu rialzata, ma l’altezza da cui era arrivato glielo aveva fatto piombare addosso con la potenza di un gigantesco masso. Mentre lei era schiacciata al suolo senza respiro, la radio cominciò a ritrasmettere musica, il sole ricomparve al solito posto, uno stormo di uccelli volò all’orizzonte e il cielo tornò compatto. Sentì la stanchezza calarle addosso. Desiderò solo tornare a casa e ributtarsi a letto. Si ficcò il pezzo di carta in tasca, raccolse lo zaino e risalì in macchina con il pensiero focalizzato sulle quattro pareti domestiche in cui voleva correre a rifugiarsi.
Erano le 6. La strada in senso inverso come al solito sembrò più breve.
Una volta a destinazione assecondò l’unico suo bisogno. Si rificcò nel letto ancora tiepido con i vestiti in dosso. Avrebbe lasciato su anche le scarpe non fossero state così pesanti. Chiuse gli occhi e con quell’ultimo pensiero piombò nell’ incoscienza buia del sonno.
Si svegliò a pomeriggio inoltrato per la necessità di fare pipì. Era rincoglionita. Conati di vomito salivano dallo stomaco.
Non se ne stupì. La nausea non era una novità portata dall’avventura mattutina. Il malessere che la scuoteva ormai da tempore non era altro che il sintomo della  maledetta solitudine.
Era sola al mondo. Se non ci fosse stata l’urgenza della vescica null’altro  le avrebbe interrotto il  sonno. Non una telefonata di persone care o amici. Neppure di colleghi.
Lei era un’invisibile.
Scacciò i pensieri inutili e tornò, come sempre, presente a sè stessa. Cavò il biglietto dai pantaloni, prese lo zaino e se li portò in camera. Seduta al centro del letto si concentrò dapprima sulla pagina. Era stata strappata da un comune quaderno a quadretti. C’erano riportate delle date. Quella di oggi era cerchiata e sottolineata più volte, come a rimarcare quanto fosse importante. Fu il turno della zaino. Ne estrasse il contento e le venne da ridere. Le cose che tirava fuori erano di una banalità sconcertante. Si sarebbe aspettata oggetti che lasciassero presupporre 
nell'altra dimensione scenari   fantascientifici ,   la borsa  invece era stata fatta più o meno con gli stessi criteri con cui lei stessa aveva preparata poco prima la sua: acqua, viveri, soldi. Unico indizio che non fosse stata improvvisata bensì   frutto di una pianificazione accurata erano le due paia di mutante e il cambio d’abiti   ben compattati sul fondo. 
Il proprietario era un uomo, forse un ragazzo, alto ma di corporatura media a giudicare dalla taglia e dallo stile degli abiti. Basandosi sulla calligrafia avrebbe detto  non ordinatissimo, ma di carattere. Le cifre  erano chiare e essenziali, le lettere dei mesi prive di fronzoli. I tratti, in entrambi i casi, erano irregolari ma decisi e ben calcati.


Non è un pranzo di gala

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