Ho finito “On writing” di Stephen King, traduzione di
Giovanni Arduino, edizione Frassinelli.
Appena chiuso l’ho sistemato nella pila dei libri da “perenne consulto”, quelli
cioè che stanno sempre sul comodino o mi porto in giro per casa spulciandoli
ogni tre e quattro.
Provo a prenderlo dalla parte inversa, questo “Sulla scrittura”. No, tranquilli. Non comincerò a parlarvene
partendo dall’ultima pagina.
Tenterò piuttosto di vendervelo come un testo imprescindibile “On reading”, vale
a dire come un manuale sulla lettura.
A me, quando arrivo per la prima volta in una città –lo confesso- non piace andare
per musei esclusivamente per smarcare la visita dall’elenco delle cose obbligatorie
da fare. Chiarisco il punto. E’ che i musei non sono centri commerciali, con
vetrine davanti alle quali sfilare passivamente. Bisogna andarci preparati. Il
massimo sarebbe accompagnati da una guida. Che senso ha fermarsi due minuti
davanti a quella –tutto sommato- minuscola figura di donna che sorride
enigmatica e che non è neppure poi tanto bella, se non lo si fa per valutare la
mano e la mente del pittore? Così per i libri. Si, è vero. Leggiamo “per
legittima difesa”, per ritrovare pezzi di noi stessi, per conoscere altre realtà,
per vivere più vite, ma dovremmo leggere anche per imparare qualcosa sulla
scrittura. L’obiettivo del mio suggerimento è di andare oltre le ore di piacevole
evasione che una storia ci fornisce. Non pretendo che si abbia tutti un
approccio da analisi semiotica -dopo la morte di Eco il termine non è del tutto
ignoto- con il testo. Semplicemente sostengo che per apprezzare ciò che c’è
sulla pagina e gratificare –perché no- l'autore, riconoscendone
non solo il talento ma anche il lavoro fatto per piegare alla propria volontà l’istinto,
occorre saperne un minimo di tecnica di scrittura. King è – lo dico senza tema
di smentite- un ottimo maestro. Regalatevi un giro tra le pagine di “on writing”
come fosse la visita in una negozio di gemme dove vi spiegano le basi della
faccenda. E’ probabilissimo, anzi certo che continuerete a non saper riconoscere
ad occhio un diamante puro da uno di seconda scelta, ma almeno avrete imparato
la differenza tra il brillante e lo zircone. Cosa non da poco, non credete?