Questo consiglio è apparso su LuciaLibri, giornale online di approfondimenti culturali legati al mondo letterario ed editoriale.
New Iberia, Louisiana, anno del Signore 1943. Dopo otto mesi di carcere il diciottenne di colore Willie Jones è al suo ultimo giorno di pena. Accusato da un uomo bianco di averne stuprato la figlia, suicidatasi poi per timore dello scandalo, alla mezzanotte andrà sulla sedia elettrica. Questa la sintesi de L’ultima notte di Willie Jones (302 pagine, 18 euro), tradotto da Silvia Rota Sperti, titolo originale The Mercy Seat, con cui l’editore Solferino introduce ai lettori italiani Elizabeth Winthorp.
Ispirandosi alle storie di Willie McGee e Willie Francis, entrambi di colore, giustiziati negli anni cinquanta sulla Feroce Gertie, la sedia elettrica su cui sono morte ottantasette persone, Elizabeth Winthorp intinge la penna nel calamaio d’inchiostro corvino e vischioso dell’odio razziale e dei linciaggi, per scrivere dell’America rurale dove essere di colore costituiva colpa indelebile e la sanzione capitale presupposto non negoziabile della giustizia legale. Ci regala, souvenir del viaggio a ritroso nel tempo, un romanzo sostanzioso, complesso, attuale, nel quale è tratteggiato, con impressionante forza evocativa, il clima che ristagna laddove allignino intolleranza razziale e giustizialismo. Un romanzo che, per il forte valore simbolico, meriterebbe di essere letto dalle scolaresche, suonando come un monito contro la seduzione di quelle brutali convinzioni tornate purtroppo a far proseliti. La Mercy Seat del titolo originario e Willie Jones di quello italiano, pur essendo, in quanto protagonisti, all’apice dell’architettura narrativa del libro, non possono dare voce alla propria storia, per la ragione oggettiva di consistere in un ammasso di legno e cavi elettrici la sedia, e per essere in uno stato di sospesa incredulità il condannato. Viene loro in soccorso un originale tessuto connettivo di ottanta sezioni, in cui sette uomini bianchi e due di colore danno corpo alla cronaca dei fatti e alla descrizione del clima generale al margine dell’evento. Una pianificazione strutturale felice, che agendo come una centrifuga, separa il tema politico, elemento solido del romanzo, dall’altro, liquido, attinente alla sfera dei sentimenti. Winthorp carica, in questo modo, le questioni sociali sulle spalle della Feroce Gertie e di Wille, strumento e vittima dell’iniquo sistema penale, per cristallizzarne l’empietà e il dolore in un monolite che schiacci il lettore. Al contrario, frammenta le emozioni tra i vari personaggi affinché, trasformate in un caleidoscopio, investano e trapassino chi legge con ognuna delle loro possibili sfumature.
«L’affluire dei sentimenti non è quello specchio d’acqua uniforme» dice, in Elvira di Brigitte Jaques, Jouvet istruendo l’allieva. «È proprio in quest’affluire (…) che c’è il ribollire della sensibilità». Dubito che Winthorp avesse presente tali parole mentre scriveva, ma mi pare che, seppur inconsapevolmente, le abbia attuate attraverso la sua composizione. La disperazione per il figlio in guerra della coppia che aiuta il padre di Willie a trasportarne la lapide. La caparbia ostinazione dell’anziano genitore di tenere fede alla promessa di seppellirlo degnamente. La solitudine del prete al fianco di Willie, che, in preda ad una crisi di vocazione, fronteggia l’antico demone dell’alcolismo. La famiglia del giudice responsabile della sentenza, che soggiace ai ricatti dei razzisti. Infine i razzisti, che attendono di godersi lo spettacolo del diciottenne “fritto” sulla macchina infernale: il coinvolgimento è tale che l’amore, la pietà, l’odio non restano confinate alle pagine. «Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità per trovare nuove voci, nuove strade, nuovi punti di partenza» – rubo ancora a Jouvet – affinché lo spettatore provi sempre ciò che prova l’attore. Se alla fine di un libro siamo totalmente compenetrati con l’autore vuol dire che la lezione vale anche in letteratura e il romanzo di Elizabeth Winthorp ne costituisce una prova: con L’ultima notte di Willie Jones è riuscita a dare una bella, forte e appassionante interpretazione alle parole
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