Sono
una persona puntigliosa in fatto di parole.
Mentre la “Cirinnà” è impegnata nel suo percorso di genesi in Parlamento, io mi lambicco su quell'aggettivo “tradizionale”, cavallo di battaglia dei conservatori che si oppongono alle innovazioni in materia di diritto di famiglia.
Lo spunto per questa riflessione -in verità- mi è arrivato da mia cugina, la quale, tra il serio e il faceto, passando in rassegna la gran parte dei cartoni animati con cui quelli della mia generazione sono cresciuti, notava che tutti i personaggi a noi più cari, da Heidi a Candy Candy, passando per Lady Oscar e Geeg Robot d’acciaio, non hanno affatto alle spalle “famiglie normali”. Veri e propri eroi moderni, campioni di virtù e moralità i nostri beniamini sono infatti perlopiù orfani, allevati solo da madri, da nonni, o da altre varie figure caritatevoli che di loro si son fatti carico.
Mi sono –come dire- rizzate le antenne e ho cominciato sommariamente a scorrere la storia per recuperare le tracce delle tradizioni sedimentatesi in fatto di famiglia. Come si è sostanziata di fatto l’unione di un uomo ed una donna, riguardo soprattutto alle sue dinamiche rispetto alla prole, nel tempo? Quali i mores maiorum che sopravvivono tra le nostre pareti domestiche? Mi pare un punto non da poco su cui giocare la partita sulla “sacralità” di un rapporto considerato immutabile.
Devo dire che per fino i biblici esordi non depongono a favore del gruppo primigenio naturale. Adamo ed Eva, archetipo di coppia eterosessuale sì, ma anche fuorilegge -tanto riguardo all'illecito compiuto, tanto alla circostanza di vivere in paradiso more uxorio non essendosi premunito il Dio di unirli in regolare matrimonio- generarono –di fatto- il primo fratricida della storia. Quindi già da allora è stato tutta da rifare.
Il passato sembrerebbe confermare che la famiglia con la quale oggi abbiamo a che fare più che eredità statica giunta fino a noi imbalsamata è il frutto di continui, necessari miglioramenti.
Per mia nonna buonanima, ad esempio, famiglia tradizionale era quella composta da un padre, una madre e almeno quattro figli. Al di sotto di detta soglia numerica avrebbe dubitato che ci fosse nucleo domestico di cui parlare. E famiglia per lei significava soprattutto un padre che tra una fatica e l’altra, prima di concedersi qualche ora di svago all'osteria, svolgeva la sua unica funzione, cioè di impartire castighi, rigorosamente corporali. Una madre intenta a procreare e bambini che spartivano attivamente insieme ai genitori il peso della casa, con i maschietti destinati ad essere precoci lavoratori e le femminucce balie dei fratelli minori. Nella povertà dei tempi molti erano le creature, infine, date in prestito, perché fossero cresciute, a zie e parenti, anche lontani, incapaci di generare.
Stiamo attenti dunque quando attribuiamo primati alle consuetudini e ricordiamoci che se siamo arrivati fin qui è per la nostra capacità di innovare il tradizionale.
In fondo la famiglia è come il pane, l'elemento più semplice e naturale. Va, per necessità, ricomprato fresco, dato che dopo un po' diventa un sasso non più buono da mangiare.
Mentre la “Cirinnà” è impegnata nel suo percorso di genesi in Parlamento, io mi lambicco su quell'aggettivo “tradizionale”, cavallo di battaglia dei conservatori che si oppongono alle innovazioni in materia di diritto di famiglia.
Lo spunto per questa riflessione -in verità- mi è arrivato da mia cugina, la quale, tra il serio e il faceto, passando in rassegna la gran parte dei cartoni animati con cui quelli della mia generazione sono cresciuti, notava che tutti i personaggi a noi più cari, da Heidi a Candy Candy, passando per Lady Oscar e Geeg Robot d’acciaio, non hanno affatto alle spalle “famiglie normali”. Veri e propri eroi moderni, campioni di virtù e moralità i nostri beniamini sono infatti perlopiù orfani, allevati solo da madri, da nonni, o da altre varie figure caritatevoli che di loro si son fatti carico.
Mi sono –come dire- rizzate le antenne e ho cominciato sommariamente a scorrere la storia per recuperare le tracce delle tradizioni sedimentatesi in fatto di famiglia. Come si è sostanziata di fatto l’unione di un uomo ed una donna, riguardo soprattutto alle sue dinamiche rispetto alla prole, nel tempo? Quali i mores maiorum che sopravvivono tra le nostre pareti domestiche? Mi pare un punto non da poco su cui giocare la partita sulla “sacralità” di un rapporto considerato immutabile.
Devo dire che per fino i biblici esordi non depongono a favore del gruppo primigenio naturale. Adamo ed Eva, archetipo di coppia eterosessuale sì, ma anche fuorilegge -tanto riguardo all'illecito compiuto, tanto alla circostanza di vivere in paradiso more uxorio non essendosi premunito il Dio di unirli in regolare matrimonio- generarono –di fatto- il primo fratricida della storia. Quindi già da allora è stato tutta da rifare.
Il passato sembrerebbe confermare che la famiglia con la quale oggi abbiamo a che fare più che eredità statica giunta fino a noi imbalsamata è il frutto di continui, necessari miglioramenti.
Per mia nonna buonanima, ad esempio, famiglia tradizionale era quella composta da un padre, una madre e almeno quattro figli. Al di sotto di detta soglia numerica avrebbe dubitato che ci fosse nucleo domestico di cui parlare. E famiglia per lei significava soprattutto un padre che tra una fatica e l’altra, prima di concedersi qualche ora di svago all'osteria, svolgeva la sua unica funzione, cioè di impartire castighi, rigorosamente corporali. Una madre intenta a procreare e bambini che spartivano attivamente insieme ai genitori il peso della casa, con i maschietti destinati ad essere precoci lavoratori e le femminucce balie dei fratelli minori. Nella povertà dei tempi molti erano le creature, infine, date in prestito, perché fossero cresciute, a zie e parenti, anche lontani, incapaci di generare.
Stiamo attenti dunque quando attribuiamo primati alle consuetudini e ricordiamoci che se siamo arrivati fin qui è per la nostra capacità di innovare il tradizionale.
In fondo la famiglia è come il pane, l'elemento più semplice e naturale. Va, per necessità, ricomprato fresco, dato che dopo un po' diventa un sasso non più buono da mangiare.
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