Quella volta lì che mi successe questa cosa mi tornarono in
mente le raccomandazioni che mamma mi faceva da bambina e che io subivo
rancorosa con fastidio. Non perché mi mettessero a disagio –mi ero guadagnata,
precocissima, la qualifica di senza pudore- piuttosto perché mi costringevano a
pensare male di lei. Tutta quella diffidenza verso il genere maschile mi
sembrava eccessiva e non le si addiceva. Mamma è sempre disponibile verso il
prossimo e ci ha catechizzato alla bontà come valore assoluto. L’immagine di
persona caritatevole che avevo di lei strideva, dunque, con l’altra di
malpensante che veniva fuori in quei frangenti.
Non potevo certo immaginare che avrei
riempito a mia volta la testa delle mie figlie di avvertimenti simili. Gli inglesi, lo avrei imparato anni dopo, le
chiamano “le regole del no” e le insegnano fin dall'asilo.
“Non restare sola con un adulto a meno che non ci sia una autorizzazione a tal
proposto della mamma”.
“Non nascondere alla mamma -non bisogna vergognarsene- se qualcuno tenta di toccarti”.
“Non abbassare mai la guardia, neppure nel caso in cui si tratti di parenti
stretti e amici di famiglia.”
All'epoca del fatto non ero ancora maggiorenne, più precisamente stazionavo nell’età in
cui le istruzioni d’uso della vita vuoi scriverle tu, piuttosto che subire
quelle altrui. Sarà stato per quello che fui ad un passo così dall'abbassare la
famosa guardia.
Non ricordo le circostanze che mi indussero ad accompagnare mamma al santuario; da tempo la messa non rientrava nelle mie abitudini. Probabilmente il mio
ragazzo era fuori per lavoro, le amiche tutte impegnate altrove e pur di non
rimanere a casa sola, mi parve una buona idea farle, una volta tanto, compagnia.
Ho, invece, chiara memoria delle ragioni che mi spinsero ad inginocchiarmi presso
il confessionale.
Altro mistero, lo strano rapporto di mia
madre con il sacramento della penitenza, che mi si chiarì quel giorno.
Cattolica praticante ci spingeva ad andare alle celebrazioni, ci spronava a
prendere la comunione, ma ne’ avevo visto lei farlo ne’ aveva mai preteso che
noi ci appartassimo con un prete per chiedere perdono di peccati.
Io, invece, in quel periodo mi sentivo terribilmente in colpa. C’entravano i
miei anni, naturalmente. E’ facile intuire in che tipo di inosservanza della
legge divina, causa giovinezza, stessi incorrendo. Eravamo, il mio ragazzo ed
io, al primissimo capitolo delle “esplorazioni d’amore”: oltre la soglia del
bacio ma ancora decisamente lontani dalla fatidica “deflorazione”. Pensavo di
aver ridotto al silenzio la mia pudica coscienza, ma evidentemente qualche
residuo retaggio di una educazione moderatamente bigotta ancora produceva
effetti.
Vidi il confessionale vuoto, l’attempato prete dall'aria bonaria in attesa e mi
ci avventurai.
Paziente, il vecchio mi chiese l’elenco dei peccati. Non aspettavo altro che vuotare
il sacco per scaricarmi dal peso delle furtive e acerbe palpeggiate. Dei due
esseri umani in quella cabina di legno la più innocente ero io. Con un gesto paterno
mi prese le mani giunte che erano sospese a mezz’aria e, abbassatele con
delicatezza perché non ne scorgessi le intenzioni, fece per accompagnarle verso
il suo basso ventre. Non lasciai che le indirizzasse al fallo. La lampadina mi si accese rapida nel cervello
facendo luce sulle vecchie raccomandazioni della mamma. Mi alzai veloce e
fuggii via. Aveva ragione mia madre a diffidare. Porco Giuda, ma anche il
prete. Di vecchi zozzi pullula il mondo, perché dovrebbe fare eccezione la casa
di Dio.