Adoro i riti. Un piacere che –confesso- ho scoperto
recentemente. Da qualche anno –per dire- apprezzo anche la messa. C’è qualcosa che
mi rassicura nelle liturgie. Sarà l’assimilazione. Mi fanno sentire come quel “colore che si espande e si adagia negli
altri colori” e poco importa se in fondo sono “più solo se lo guardi”.
Sanremo, da quando c’è la possibilità di
viverlo collettivamente attraverso il
virtuale, è entrato a far parte dei rituali a cui non riesco a rinunciare. Mi
sistemo sulla poltrona con la mia brava tastiera sotto mano, metto da parte
scetticismi e sovrastrutture, e piano piano assaporo le portate.
Cambiano i conduttori, le vallette, gli ospiti, le comparse e i cantanti, ma il
canovaccio nella sostanza è sempre rispettato. Chi stona, chi tradisce le
aspettative, chi si impone per il look, chi stupisce impressionando nel bene, e
chi lo fa nel male.
Sanremo è il mio annuale bagno nel popolare, categoria con la quale ho in
genere un pessimo rapporto. In famiglia mi
si rimprovera spesso il mio essere “bastian contraria”. Pare che più una cosa si
diffonda, più diventi conosciuta e più io mi ci disaffezioni. Meglio bastian
contraria che snob, tutto sommato. Perché non lo faccio per snobismo quanto
piuttosto per diffidenza verso gli effetti della fama. Esiodo –la prendo forse troppo alla lontana- ammoniva: -” evita la terribile fama dei mortali,
perché la fama è cosa cattiva, è leggera e si solleva facilmente, ma poi è
penosa da sopportare, è difficile da deporre. La fama non muore mai
completamente, quando molte genti la divulgano, anche la fama è una dea” – e
tutte le manifestazioni di idolatria mi spaventano.
Lungo preambolo per arrivare alla indiscussa star della serata: Ezio Bosso, sulla quale oggi saranno
versati, compreso questi, fiumi di inchiostro.
Sono tra i milioni di telespettatori che si sono goduti, scioccati e attoniti
la sua esecuzione.
Premetto che non lo conoscevo come musicista classico. Confesso che a suo tempo
avevo apprezzato il gruppo degli Statuto ma non al punto da approfondirne il
nome dei componenti, sicché Bosso, alla fine, me lo ero perso per strada. Sono
andata –quasi inutile dirlo- a “youtubbare”
e l’ho ritrovato ospite nell’ultima puntata di “Ghiaccio bollente”, il programma musicale di Carlo Massarini, che l’azienda, purtroppo, ha recentemente cancellato.
Il Maestro aveva dato prova, anche il quel caso, oltre che delle doti di
musicista, della sua potente statura umana.
Non so quale sia la percezione che Bosso abbia di se stesso: è un comunicativo e a
lui, lo ha sottolineato chiaramente, interessa il contatto con la gente, la dimensione
duale della musica, che passa attraverso l’esecuzione e l’ascolto. Io ho visto un uomo focalizzato sulle essenze,
di grande intelligenza e dalla dirompente empatia. Si racconta senza difficoltà
buttando fuori quanto ha maturato nel cuore e nella mente. Basterebbe a descriverlo un’espressione più banale ma altrettanto eloquente: “bella persona”.
Eppure, nonostante la mia passione dichiarata per le cerimonie popolari e l’apprezzamento
per il talento di Bosso –che mi rammarico, data la mia incompetenza, di non
potere apprezzare pienamente- resto
scettica rispetto alla sua partecipazione al festival. Mi lascia dubbiosa la
rappresentazione che se ne è voluta fare. Quando senti al radiogiornale definire
la sua performance “commovente”, sospetti che si siano voluti solleticare i nervi
più esposti e ti sembra ancora più lecito diffidare.
Ezio Bosso è un musicista che ha già avuto alti riconoscimenti. I pochi minuti di celebrità sanremesi sono veramente poca cosa. Speriamo solo che non preludano ad una forma ancora più svilente di notorietà: mi riferisco alla modernissima soglia della viralità.