sabato 27 febbraio 2016

Fringe ( 4 parte " esitazioni")

Perché cavolo non aveva imparato a guidare appena compiuti i diciotto anni, nell' ultima estate che aveva trascorso in famiglia, prima del trasferimento in Inghilterra?
Muoversi a piedi per la città, anche se ne conosci ogni angolo come le tue tasche, non è la stessa cosa che girarci in auto.
Lo avesse fatto, ora non avrebbe difficoltà a destreggiarsi oltre i confini del suo quartiere.
Il fatto è che non le piaceva proprio la macchina e quella improvvisa recriminazione- se ne rendeva conto perfettamente- per quanto dettata dalla circostanza, rimaneva fuori luogo e in ogni caso non realmente sentita. Era patentata ormai da dieci anni. Ne aveva macinati di chilometri nelle sconfinate campagne inglesi intorno al campus dove aveva conseguito il Bachelor, eppure sedersi al posto di guida era sempre una resa all'impossibilità di fare altrimenti.
Per quanto si profilasse come una scarpinata il tragitto verso una qualsiasi destinazione, era sempre più allettante della prospettiva di rimanere imbottigliati nel traffico o girare a vuoto cercando parcheggio o fare lo slalom tra automobilisti e motociclisti distratti e pericolosamente intraprendenti. 

Inserì la chiave nel cruscotto e guardando nello specchietto retrovisore per cominciare la manovra incrociò il suo viso.

Fu straniante rivedersi al naturale, con i capelli spettinati e senza un filo trucco. Il caschetto, con l'henné ormai stinto a svelare il suo anonimo castano naturale, aveva bisogno di essere ripreso. Gli occhi, senza la matita nera e il mascara con cui ne disegnava i contorni ingrandendoli così da aggiungere profondità allo sguardo, le davano effettivamente l'aria vagamente orientale che la gente le rimarcava spesso. Almeno l'espressione di paura attenuava gli zigomi paffuti. Il sorriso solitamente aveva l'effetto contrario di metterli in luce, trasformando l'ovale del volto nel faccione che lei detestava ma ai più invece piaceva, per via dell' aria affidabile e simpatica che -dicevano- le conferiva. 


La maschera da invasata  incollatasi sul viso avrebbe fatto sorridere John, che l'avrebbe certamente rimproverata, con i suoi modi bonari, per quelle stupide divagazioni. Ah, John, quanto le mancava.
Le mancava, e non era una banalità, tutto di lui.
Dai suoi occhi indescrivibilmente verdi alla andatura dinoccolata. Il fisico atletico, i modi energici, la voce profonda e la risata schietta.
Era stato per lei, durante gli anni dell'università, bussola e timone. Le aveva insegnato a navigare a vista, tenendo sempre sotto controllo la direzione ma assecondando i venti.
Di tutte le scelte del cavolo prese negli ultimi tempi, a partire da quella di rientrare in Italia, lasciarlo era stata la più rimpianta.
Fosse stato lì, con lei in quel momento, le avrebbe dato fiducia, come sempre, appoggiando quel colpo di testa così contro natura per lei, spronandola a lasciarsi alle spalle le insicurezze che l'accompagnavano da sempre e incitandola a tentare. Ingranò la marcia e partì.


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