Mi
sveglio all’alba e dopo aver messo la moka sul
fuoco, nell’attesa che il caffè sia pronto, accendo il computer per
controllare la posta. Come al solito apro facebook e
trovo la notifica di un messaggio da leggere. Scopro, con meraviglia,
che il mittente è mia madre, più mattiniera di me . Apro incuriosita e
leggo il testo che recita:- “ dove sta la s?”.
Le rispondo subito con intento canzonatorio:-“ a che ti serve scusa la s? comunque è vicino alla a!”.
Repentina arriva la replica, segno che lei è dall’ altra parte, in vigile attesa del mio risveglio,:- “ cretina ( e non mi offendo perché in famiglia siamo soliti coccolarci con questo vezzeggiativo), lo so dov’è la s, altrimenti come avrei fatto a scrivertela? Volevo chiederti dove è la scritta “mi piace”, su cui devo cliccare.”
Pur essendo le sette del mattino e il mio cervello ancora annebbiato, realizzo che mamma ha ripreso la conversazione dal punto esatto in cui si era interrotta ieri sera. Le stavo spiegando come fare a ricevere gli aggiornamenti di una pagina su FB che le interessano. La morte della chat mi aveva illuso che, seguendo le mie puntigliose indicazioni ci fosse riuscita al primo colpo, invece no, evidentemente la lezioncina non è andata a buon fine e ora mi tocca ricominciare daccapo.
Mentre riscrivo tutti i passaggi dell’operazione, ripenso al rapporto con mia madre, al mio modo di essere figlia e al mio ruolo di madre.
La mia mamma davanti al computer ce l’ho messa io, alla maniera sbrigativa e poco cerimoniosa con cui abbiamo fatto insieme molte cose, nel corso degli anni .
All’ epoca vivevo in Turchia e l’esigenza di decurtare i costi delle bollette telefoniche, nonché di approfittare delle meraviglie tecnologiche per poterci vedere oltre che sentire, mi indussero a procurarle un computer su cui installammo Skype . Mattina dopo mattina, integrando le video conferenze ancora troppo incerte e traballanti con lunghe e dispendiose telefonate, le spiegai come utilizzare google, cosa significasse cliccare, le indicai come si ingrandissero o chiudessero le pagine, e così le si aprì un mondo. Facebook è arrivato dopo, quando era ormai “scafata” abbastanza per tentare piccoli passi in autonomia. Tuttavia ancora mi chiama, di tanto in tanto, allarmata per aver commesso qualche guaio, non potendo aspettare il pranzo della domenica, al termine del quale ci dedichiamo alle spiegazioni delle cose più difficili.
Ora, mia mamma non ha mai brillato per finezza pedagogica. Non è mai stata una di quelle signore calme e tranquille che si mettono pazienti a spiegarti, passo dopo passo, le cose. Non mi ha mai imboccato niente con il cucchiaino, per dirla con una metafora cara alla mia maestra delle elementari: Al contrario ha sempre preteso che ingoiassi frettolosamente a grossi bocconi, per svuotare il piatto velocemente. Non lo faceva mica per cattiveria, sono sempre stata certa della sua buona fede. Figurarsi! Non le ho mai sollevato il minimo rimprovero, anche se -a dire il vero- sono riuscita a dare una spiegazione razionale alla sua condotta solo anni dopo quando mi sono dovuta giustificare con le mie figlie che si ribellavano alla prospettiva di subire da parte mia lo stesso trattamento. Ho compreso, infatti, che certe mamme -inclusa evidentemente la mia- reputando i propri figli più intelligenti degli altri, ritengono che ad essi basti una mezza parola, o addirittura unicamente un esempio, per capire le cose e ripeterle uguali. Le spiegazioni lunghe e le smancerie, questi tipi di madre le riservano ai figlioli altrui, giudicati lenti di comprendonio e meno svegli, se non del tutto ottusi.
Questo approccio educativo, che non definirei montessoriano, ha fatto si che io abbia cercato di affrancarmi il prima possibile da mamma e dalle sue bisbetiche istruzioni d’uso della vita. O almeno così mi era sembrato, prima di essere colta dal dubbio che dietro la mia emancipazione , ancora una volta, ci fosse lo zampino della mia genitrice. Proprio così:senza troppe parole, a furia di sguardi d’intesa, di silenzi , di fiducia accordata, così come mi ha insegnato a far di conto o a lavare i piatti, mi ha resa adulta, e pienamente, orgogliosamente, indipendente.
Dirò di più: quando mi sono accorta che progressivamente i ruoli si invertivano e sempre più spesso ero io a vestire i panni della bisbetica maestrina, spazientita dalla lentezza di mia madre nell’ apprendere le nuove cose, ho avuto la certezza che la sua linea educativa, sebbene non da assolvere a pieni voti, non fosse neppure da archiviare.
“Mamma efficiente fa il figlio deficiente”, questo è stato il motto di mia madre. Questa la giustificazione, allora criptica, con cui lasciava cadere nel vuoto le mie richieste di essere sollevata da un compito, giudicato da me troppo gravoso, che mi aveva affidato.
Quando, tempo dopo, ho provato io a sottrarmi alle sue richieste di aiuto, capovolgendo la proposizione e sostenendo che “anche la figlia efficiente rende la mamma deficiente”, mi ha risposto che non sono possibili ribaltamenti, con i termini invertiti quella frase perde il rigore logico.
Ci ho riflettuto e ho capito che ancora una volta aveva ragione lei. Un genitore, a meno che per ragioni di salute ne sia impossibilitato, non perde la capacità di prendersi cura materialmente di se stesso, ne’ si trasforma in un imbranato, bensì pian piano si arrende volontariamente all’ efficienza, all’ acume, alla preparazione dei figli.
A ben pensarci il vero spartiacque tra la mia generazione e quelle precedente è rappresentato dal ruolo di tramite, tra il proprio genitore e la modernità, che i nostri genitori hanno svolto e che, d’altro canto , ha permesso loro di divenire adulti . Prima ancora che Freud e la psicanalisi spiegassero la faccenda del parricidio necessario per crescere, i nostri padri e le nostre madri si ritrovarono uomini e donne fatti, leggendo e scrivendo per conto dei loro genitori analfabeti, sintonizzando i canali dei primi televisori per i famigliari, scarrozzando in macchina, da neopatentati, la famiglia nelle gite domenicali.
Allora ho capito che è giunta la mia ora. Innegabile che i tempi moderni richiedano di stare sempre al passo, di colmare velocemente i gaps per non rimanere indietro, di adeguarsi alle nuove tecnologie, ma l’esigenza di crescita e di emancipazione dei ragazzi, dei nostri figli, è rimasta invariata.
Non voglio figlie deficienti, non desidero che siano meno autonome, meno orgogliose, meno indipendenti di quanto non lo sia io. D’ora in poi comincerò a inciampare, a claudicare, a farmi aiutare. Attaccherò il mio costume da “ super mamma che tutto può e tutto fa” al chiodo, e lascerò che anche loro godano del sottile piacere, della soddisfazione, del compiacimento che si prova nel superare il proprio maestro.
Viva la mia mamma e tutte le mamme che rinunciano ai super poteri,
abbasso le mamme onniscienti , viva i figli indipendenti!
Le rispondo subito con intento canzonatorio:-“ a che ti serve scusa la s? comunque è vicino alla a!”.
Repentina arriva la replica, segno che lei è dall’ altra parte, in vigile attesa del mio risveglio,:- “ cretina ( e non mi offendo perché in famiglia siamo soliti coccolarci con questo vezzeggiativo), lo so dov’è la s, altrimenti come avrei fatto a scrivertela? Volevo chiederti dove è la scritta “mi piace”, su cui devo cliccare.”
Pur essendo le sette del mattino e il mio cervello ancora annebbiato, realizzo che mamma ha ripreso la conversazione dal punto esatto in cui si era interrotta ieri sera. Le stavo spiegando come fare a ricevere gli aggiornamenti di una pagina su FB che le interessano. La morte della chat mi aveva illuso che, seguendo le mie puntigliose indicazioni ci fosse riuscita al primo colpo, invece no, evidentemente la lezioncina non è andata a buon fine e ora mi tocca ricominciare daccapo.
Mentre riscrivo tutti i passaggi dell’operazione, ripenso al rapporto con mia madre, al mio modo di essere figlia e al mio ruolo di madre.
La mia mamma davanti al computer ce l’ho messa io, alla maniera sbrigativa e poco cerimoniosa con cui abbiamo fatto insieme molte cose, nel corso degli anni .
All’ epoca vivevo in Turchia e l’esigenza di decurtare i costi delle bollette telefoniche, nonché di approfittare delle meraviglie tecnologiche per poterci vedere oltre che sentire, mi indussero a procurarle un computer su cui installammo Skype . Mattina dopo mattina, integrando le video conferenze ancora troppo incerte e traballanti con lunghe e dispendiose telefonate, le spiegai come utilizzare google, cosa significasse cliccare, le indicai come si ingrandissero o chiudessero le pagine, e così le si aprì un mondo. Facebook è arrivato dopo, quando era ormai “scafata” abbastanza per tentare piccoli passi in autonomia. Tuttavia ancora mi chiama, di tanto in tanto, allarmata per aver commesso qualche guaio, non potendo aspettare il pranzo della domenica, al termine del quale ci dedichiamo alle spiegazioni delle cose più difficili.
Ora, mia mamma non ha mai brillato per finezza pedagogica. Non è mai stata una di quelle signore calme e tranquille che si mettono pazienti a spiegarti, passo dopo passo, le cose. Non mi ha mai imboccato niente con il cucchiaino, per dirla con una metafora cara alla mia maestra delle elementari: Al contrario ha sempre preteso che ingoiassi frettolosamente a grossi bocconi, per svuotare il piatto velocemente. Non lo faceva mica per cattiveria, sono sempre stata certa della sua buona fede. Figurarsi! Non le ho mai sollevato il minimo rimprovero, anche se -a dire il vero- sono riuscita a dare una spiegazione razionale alla sua condotta solo anni dopo quando mi sono dovuta giustificare con le mie figlie che si ribellavano alla prospettiva di subire da parte mia lo stesso trattamento. Ho compreso, infatti, che certe mamme -inclusa evidentemente la mia- reputando i propri figli più intelligenti degli altri, ritengono che ad essi basti una mezza parola, o addirittura unicamente un esempio, per capire le cose e ripeterle uguali. Le spiegazioni lunghe e le smancerie, questi tipi di madre le riservano ai figlioli altrui, giudicati lenti di comprendonio e meno svegli, se non del tutto ottusi.
Questo approccio educativo, che non definirei montessoriano, ha fatto si che io abbia cercato di affrancarmi il prima possibile da mamma e dalle sue bisbetiche istruzioni d’uso della vita. O almeno così mi era sembrato, prima di essere colta dal dubbio che dietro la mia emancipazione , ancora una volta, ci fosse lo zampino della mia genitrice. Proprio così:senza troppe parole, a furia di sguardi d’intesa, di silenzi , di fiducia accordata, così come mi ha insegnato a far di conto o a lavare i piatti, mi ha resa adulta, e pienamente, orgogliosamente, indipendente.
Dirò di più: quando mi sono accorta che progressivamente i ruoli si invertivano e sempre più spesso ero io a vestire i panni della bisbetica maestrina, spazientita dalla lentezza di mia madre nell’ apprendere le nuove cose, ho avuto la certezza che la sua linea educativa, sebbene non da assolvere a pieni voti, non fosse neppure da archiviare.
“Mamma efficiente fa il figlio deficiente”, questo è stato il motto di mia madre. Questa la giustificazione, allora criptica, con cui lasciava cadere nel vuoto le mie richieste di essere sollevata da un compito, giudicato da me troppo gravoso, che mi aveva affidato.
Quando, tempo dopo, ho provato io a sottrarmi alle sue richieste di aiuto, capovolgendo la proposizione e sostenendo che “anche la figlia efficiente rende la mamma deficiente”, mi ha risposto che non sono possibili ribaltamenti, con i termini invertiti quella frase perde il rigore logico.
Ci ho riflettuto e ho capito che ancora una volta aveva ragione lei. Un genitore, a meno che per ragioni di salute ne sia impossibilitato, non perde la capacità di prendersi cura materialmente di se stesso, ne’ si trasforma in un imbranato, bensì pian piano si arrende volontariamente all’ efficienza, all’ acume, alla preparazione dei figli.
A ben pensarci il vero spartiacque tra la mia generazione e quelle precedente è rappresentato dal ruolo di tramite, tra il proprio genitore e la modernità, che i nostri genitori hanno svolto e che, d’altro canto , ha permesso loro di divenire adulti . Prima ancora che Freud e la psicanalisi spiegassero la faccenda del parricidio necessario per crescere, i nostri padri e le nostre madri si ritrovarono uomini e donne fatti, leggendo e scrivendo per conto dei loro genitori analfabeti, sintonizzando i canali dei primi televisori per i famigliari, scarrozzando in macchina, da neopatentati, la famiglia nelle gite domenicali.
Allora ho capito che è giunta la mia ora. Innegabile che i tempi moderni richiedano di stare sempre al passo, di colmare velocemente i gaps per non rimanere indietro, di adeguarsi alle nuove tecnologie, ma l’esigenza di crescita e di emancipazione dei ragazzi, dei nostri figli, è rimasta invariata.
Non voglio figlie deficienti, non desidero che siano meno autonome, meno orgogliose, meno indipendenti di quanto non lo sia io. D’ora in poi comincerò a inciampare, a claudicare, a farmi aiutare. Attaccherò il mio costume da “ super mamma che tutto può e tutto fa” al chiodo, e lascerò che anche loro godano del sottile piacere, della soddisfazione, del compiacimento che si prova nel superare il proprio maestro.
Viva la mia mamma e tutte le mamme che rinunciano ai super poteri,
abbasso le mamme onniscienti , viva i figli indipendenti!
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