"In ira e in politica veritas". Verrebbe da parafrasare così il detto con riguardo al caso Juncker. Se vi state chiedendo di cosa vada blaterando sappiate che da quando al Presidente è scappato detto :- "Non ci sono problemi tra il governo italiano e la Commissione a parte un dibattito che qualche volta è condotto con parole maschie e virili", è palese la necessità di aprire, a tal proposito, un caso .
Ci tocca l'ennesima immersione nel fondo melmoso delle parole altrui per fare il solito lavoro sporco: portare alla luce gli orribili resti autoptici della correttezza linguistica.
Quanta fatica costa essere attenti e corretti nei propri discorsi e quale impegno di autocontrollo se al primo sussulto di collera l'argine di ipocrisia verbale salta e il disappunto fa cadere nel solito stereotipo di genere?
Lo immaginiamo Juncker, in tutto il suo aplomb, i nervi leggermente scossi da tanta tetraggine dell'italico interlocutore, rimestare nel vocabolario, cassare le formule più prosaiche salitegli alla gola e puntare su più miti espressioni.
Noi raccoglitrici infaticabili di perle nere, tuttavia, siamo indomite e proseguiamo negli interrogativi.
Quali saranno mai le "parole maschie e virili" intercorse tre le parti contrapposte? Che abbiano inscenato un sanguigno siparietto alla "Sarri-Mancini"naturalmente lo escludiamo.
Quali saranno mai le "parole maschie e virili" intercorse tre le parti contrapposte? Che abbiano inscenato un sanguigno siparietto alla "Sarri-Mancini"naturalmente lo escludiamo.
Faceva notare pochi giorni fa Gianfranco Carofiglio a proposito delle unioni civili gay che l'uso di «PAROLE PRECISE» comporta un impegno d’onestà. Le espressioni di Juncker sono state puntuali. Possiamo considerarle un segno, seppure accidentale, di trasparenza.
Ci svelano in tutta franchezza l'esistenza, in politica, di un linguaggio maschile, uno femminile e -probabilmente- uno neutro. C'è, dunque, un registro linguistico codificato mutevole a seconda del sesso delle parti. Ma noi non ce ne facciamo una ragione.
Pochi giorni fa, davanti ad una giovane commessa incinta, che alla domanda sul sesso del nascituro aveva risposto con spropositato orgoglio:-" è un maschione!" mi ero rattristata, pensando alla gabbia di condizionamenti culturali in cui sarà allevato il nascituro. L'avevo, però, in qualche modo giustificata con la scarsa scolarizzazione tradita dalla ragazza .
Juncker ci ricorda invece che il luogo comune di genere sopravvive alla cultura, alla classe e alla buona educazione, come erba cattiva. E' trasversale. Quasi subliminale.
Si diceva " in ira veritas". Lo scivolone di Juncker, lo avrete capito, mi ha toccata. Mi scuso pertanto amici, se in questo sfogo, mi sono abbandonata anche io a parole ossessivamente donne e femminili.
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