Sono appena uscita da una “full immersion” di tre giorni nel libro di Tobias Wolff “Quell’anno a scuola”, traduzione di A. Montrucchio
Ne voglio scrivere a caldo, mentre ancora dura l’effetto stupefacente di questo sorprendente romanzo, uscito in Italia, per Einaudi, nel 2005.
Sono arrivata a Wolff grazie alla dritta di un’amica. Ne abbiamo letto insieme un racconto non ancora tradotto in italiano che ci ha folgorato. Una ragione ottima per approfondirne la conoscenza. Ho cominciato non premurandomi di dare una scorsa alla biografia dell’autore, cosa frequente quando la curiosità per le pagine che hai sottomano è forte.
Scopro, a libro concluso, che la trama del romanzo coincide sorprendentemente con la vita di Wolff: di padre ebreo ma allevato nel cattolicesimo, espulso dal liceo, arruolatosi all’esercito americano, un periodo in Vietnam, proprio come il nostro protagonista. La circostanza che il libro possa essere autobiografico è un dettaglio sinceramente trascurabile.
A chi consiglio questo romanzo? Naturalmente agli appassionati di lettura, ma non solo. E’ imprescindibile per chiunque si cimenti nella scrittura.
Perché suggerisco loro di tentare quest’avventura?
Perché Wolff scrive da Padreterno. In primis.
Ma non solo. “Quell’anno a scuola” è insieme una impareggiabile lezione di scrittura e di storia della letteratura americana contemporanea.
Incontrare per un lungo tratto Ayn Rand e la sua “Fonte meravigliosa” –fortuna averlo letto! - è stato entusiasmante. Così come Frost e Hemingway.
Che i personaggi di questa storia siano reali o immaginari, come si accennava, non fa differenza. La bellezza sta nell’uso della parola scritta che Wolff ha fatto, nelle sue trovate narrative, nel ritmo con cui ha condotto alla storia.
Scrivere almeno un rigo, con la sua maestria.
Se ci fosse dato un desiderio da realizzare, è questo che noi,francamente, chiederemmo alle Muse.
Ne voglio scrivere a caldo, mentre ancora dura l’effetto stupefacente di questo sorprendente romanzo, uscito in Italia, per Einaudi, nel 2005.
Sono arrivata a Wolff grazie alla dritta di un’amica. Ne abbiamo letto insieme un racconto non ancora tradotto in italiano che ci ha folgorato. Una ragione ottima per approfondirne la conoscenza. Ho cominciato non premurandomi di dare una scorsa alla biografia dell’autore, cosa frequente quando la curiosità per le pagine che hai sottomano è forte.
Scopro, a libro concluso, che la trama del romanzo coincide sorprendentemente con la vita di Wolff: di padre ebreo ma allevato nel cattolicesimo, espulso dal liceo, arruolatosi all’esercito americano, un periodo in Vietnam, proprio come il nostro protagonista. La circostanza che il libro possa essere autobiografico è un dettaglio sinceramente trascurabile.
A chi consiglio questo romanzo? Naturalmente agli appassionati di lettura, ma non solo. E’ imprescindibile per chiunque si cimenti nella scrittura.
Perché suggerisco loro di tentare quest’avventura?
Perché Wolff scrive da Padreterno. In primis.
Ma non solo. “Quell’anno a scuola” è insieme una impareggiabile lezione di scrittura e di storia della letteratura americana contemporanea.
Incontrare per un lungo tratto Ayn Rand e la sua “Fonte meravigliosa” –fortuna averlo letto! - è stato entusiasmante. Così come Frost e Hemingway.
Che i personaggi di questa storia siano reali o immaginari, come si accennava, non fa differenza. La bellezza sta nell’uso della parola scritta che Wolff ha fatto, nelle sue trovate narrative, nel ritmo con cui ha condotto alla storia.
Scrivere almeno un rigo, con la sua maestria.
Se ci fosse dato un desiderio da realizzare, è questo che noi,francamente, chiederemmo alle Muse.
Quotes:
"Quale parte della poesia era sogno , e quale ricordo? Quando aveva preso in prestito un libro non si era reso conto di dove l'avrebbe portato quel gesto. Statene certi, disse: la vera scrittura è pericolosa. Può cambiarvi la vita".
" Non vi serve schiacciare una mosca per liberarvene: basta fare buoi nella stanza, lasciare aperto uno spiraglio della finestra , e lei esce. Funziona sempre".
" Ci sono sempre stata guerre, e sono sempre state schifose quanto siamo riusciti a renderle. E' fantastico, è piacevole pensare a noi stessi come ai più maltrattati della storia. Ma è quello che hanno pensato tutti, fin dall'inizio. E' un ottimo pretesto per ogni forma di pigrizia".
" Sto pensando al dolore di Achille, disse. Quel famoso, atroce dolore. Lasciate che vi dica una cosa, ragazzi.Un simile dolore può soltanto essere espresso dalla forma. Forse esiste davvero unicamente nella forma. La forma è tutto. Senza la forma non avremmo che un grido mozzo. Sincero, forse, per quel che vale, ma senza profondità e senza portata. Senza eco. Si ottiene una lamentela ma non un lamento, e le lamentele vanno bene per le petizioni, non per la poesia".
" Lasciate che vi dica da dove viene il vostro dolore. Non viene dall'abnegazione che vi richiede un partito, uno Stato o la chiesa di un ridicolo dio. Non viene dalla gente. In cambio della vostra ragione e della vostra libertà magari vi danno un attestato di merito o anche un po' di potere, ma è inutile. E' meno che inutile, è schiavitù. Quando il potere vi arriva da altri, salvo consenso, siete i loro schiavi. Non sacrificatevi mai. Mai! Chiunque vi spinga a sacrificarvi è peggio di un qualunque assassino, che almeno vi taglia la gola di persona, senza convincere voi a farlo. Dovete venerare voi stessi. Venerare voi stessi significa vivere davvero".
" Dovresti continuare a scrivere.
Mhm, non credo.Troppo frivolo. Capisci cosa voglio dire? Ti isola e ti rende egoista e basta, e non fa bene per niente".